King è un mondo.
Non per tutti, anche se suona paradossale il rimarcarlo dato quel che vende. Ma è un mondo immenso nelle cui viscere ribolle quel male senza tempo che caratterizza i suoi titoli migliori e la cui epitome si chiama (ancora) Pennywise o, volendo, Randall Flagg. Perciò Outsider alla lettera non sarebbe altro che l’ultima versione dell’Uomo Nero, metastasi inconscia divenuta Carne (ormai non più nuova) del gotico moderno. E lo è, senza ombra di dubbio, con tutti gli attributi immaginabili che si riservano a una creatura del genere; Doppelgänger, «Ultracorpo», maschera cangiante, signore degli incubi e crudelissimo persecutore dell’infanzia innocente. Già letto? Già visto? Non proprio.
Quello che rende irresistibile e «nuova», con tutti i limiti delle parole, l’ultima uscita di King, è il collettivo punto di vista, destinato con lentezza a sgretolarsi, dei protagonisti che indagano su un paio di cruentissimi omicidi ai danni di un ragazzino e due sorelline. Un pool che si viene a formare per progressiva associazione spontanea man mano che i misteri, invece che sciogliersi aumentano, e i cui componenti per loro forma mentis semplicemente sghignazzano al balenarsi di eccentriche prospettive soprannaturali. Sotto questo profilo The Outsider è per buona metà, e forse più, un impeccabile e appassionante procedural, le cui carte vincenti sono l’ovvia e ormai inattaccabile tecnica narrativa dell’uomo del Maine che ti incolla alla pagina anche quando ti racconta la lista della spesa e lo slittare, lento e mellifluo, del quotidiano realismo nella magica dimensione dell’horror New England style che mai se n’è andato ed è “ancora qui”, per fortuna.
E poi abbiamo quel già visto e sentito che, lungi dall’essere un difetto, ci rassicura. Perché ci sentiamo quanto mai gratificati dal fatto che la squadra investigativa di personaggi un po’ in là con gli anni altro non sia che una versione contraffatta dei Perdenti di Derry e che le grotte di Marysville profumino – si fa per dire – di discarica sotterranea dei Barrens. Perché King è un mondo, anzi, un universo e, per quanto nel romanzo ricorra più volte il mantra «l’universo non ha confini», conosciamo bene i suoi pianeti vaganti e abbiamo fior di strumenti per ipotizzare quali razze di vite ibride e ctonie siano pronte a ghermirci non appena atterriamo su quelli sconosciuti.
Come potete constatare non si fanno spoiler e, al di là del fatto che io sia un evidente «kinghiano» al quale non resta che consigliarvi di scendere a capofitto per i meandri degli inconsci condivisi che formano la ragnatela in sottotraccia dell’ennesima scorreria, a tratti insopportabile, dell’Uomo Nero nella nostra dimensione, ci sarebbe un ultimo, temo sconcertante, aspetto che lega The Outsider a certa cronaca giudiziaria, italiana e recente. In buona sostanza, cedendo la parola a Stephen che non s’inventa nulla:
…è opinione diffusa che la prova del DNA sia infallibile, ma come sottolineato dal Consiglio per la Genetica Responsabile in un articolo pubblicato su una rivista accademica e intitolato «Il potenziale di errore nei test del DNA», si tratta di un convincimento errato. Se i campioni sono misti, per esempio, qualunque corrispondenza non può essere considerata affidabile.
E in altra parte del libro si ribadisce che in America i processi le cui sentenze si basino in via esclusiva solo sulle prove del DNA devono esprimere una solida serie di prove e testimonianze a supporto – il che consiste nella partenza della straordinaria prima parte procedural di The Outsider.
È solo un libro di fiction (horror), d’accordo. È solo Stephen King (solo?). Ma il romanzo, per quasi 150 pagine, riverbera – certo, casualmente – uno dei più incredibili casi di cronaca nera della storia italiana, che ha avuto nel mese scorso la sua pietra tombale giudiziaria. Non lo nomino, va da sé, mi sembra persino fuorviante in questo contesto. Ma è pregio della grande letteratura agganciarsi con la pancia dell’attualità. E, parlando solo per me, l’Outsider di Flint City ha ampliato alla grande i miei dubbi su certe convinzioni «scientifiche» sulle quali, pare, non sono ammesse contestazioni.
La realtà è come uno strato di ghiaccio sottile, ma quasi tutta la gente ci pattina sopra tranquillamente e il ghiaccio si rompe solo alla fine.
(S. King, The Outsider, p. 528)
Abbiamo già parlato di Stephen King nella rubrica Opera Prima, che nella sua prima puntata si è occupata de La lunga marcia; nella rubrica Occasioni, quando è uscita la prima parte della versione cinematografica di It; e nelle recensioni di Sleeping Beauties, scritto col figlio Owen, e La scatola dei bottoni di Gwendy, scritto con Richard Chizmar.