Parafrasando lo Zarathustra di Nietzsche, si potrebbe dire che questo è “un libro per tutti e per nessuno”. La lettura del libro che Martin Heidegger ha dedicato al pensiero e all’opera di Friedrich Nietzsche richiede uno sforzo prolungato nel tempo, una concentrazione costante che è difficile conservare per pomeriggi interi, dati i ritmi della nostra vita quotidiana, uno sforzo di comprensione che riesca a cogliere tute le infinite svolte del pensiero di Heidegger con i suoi continui andirivieni, le sue pause e ripartenze, le infinite approssimazioni all’oggetto del pensare e al domandare definitivo. Il lettore di questo libro dovrà addentrarsi con pazienza e tenacia tra le infinite sfumature di significato attribuite ai vari termini, nella ricostruzione che Heidegger fa della storia della metafisica, tra l’antichità greca e la fine dell’800 in Germania, tra i presocratici come Anassimandro, Protagora ed Eraclito, per arrivare poi a Socrate, Platone, Aristotele e infine, qualche secolo dopo, a Friedrich Nietzsche, il pensatore della “morte di Dio”, il filosofo del nichilismo, del superuomo, dell’eterno ritorno dell’uguale e della volontà di potenza.
Questo volume raccoglie i corsi universitari tenuti da Heidegger su Nietzsche nell’arco di un decennio presso l’Università di Friburgo, tra il 1936 e il 1946, un periodo cruciale per la sua formazione filosofica e per la storia della Germania, e speriamo di non dover spiegare perché. È noto che all’epoca c’era un agente della polizia segreta nazista – un certo Hanke – che aveva il compito esclusivo di seguire i corsi di Heidegger e di annotare eventuali critiche al Regime. Non essendo uno studente di filosofia, ci si chiede cosa mai abbia potuto capire il povero Hanke…
Questo è un libro difficile, anche perché richiede una buona conoscenza delle opere di Nietzsche; lette magari nei meravigliosi volumetti gialli della Piccola Biblioteca Adelphi curata da Colli e Montinari a partire dagli anni ’60. Bisogna avere una certa confidenza con il percorso del filosofo-filologo, dalle Considerazioni Inattuali fino ai Frammenti postumi, in modo da apprezzare l’enorme sforzo interpretativo-appropriativo compiuto dal Filosofo della Foresta Nera sulle opere di uno dei più grandi filosofi europeo tra Otto e Novecento, la cui riflessione filosofica Heidegger vorrebbe ricondurre ancora una volta nella categoria della Metafisica. Nietzsche sarebbe l’ultimo dei metafisici, l’ultimo dell’Occidente, proprio perché, nel tentativo di oltrepassare il nichilismo e di rovesciare il Platonismo (e il suo derivato, il Cristianesimo), cioè la Metafisica, rimane pur sempre all’interno di un orizzonte metafisico. Heidegger si spinge addirittura al punto di definire Nietzsche “il più sfrenato platonico dell’Occidente”, una definizione che di certo avrebbe fatto inorridire il filosofo dell’eterno ritorno. Alla fine l’impressione che se ne ricava è che Heidegger abbia cercato in tutti i modi di appropriarsi del pensiero di Nietzsche, di portarlo alle sue estreme conseguenze, proponendo un’interpretazione estrema che potesse creare uno spazio vuoto, uno spazio nella tradizione filosofica che lui potesse occupare con la sua riflessione, che altrimenti sarebbe risultata assolutamente fuori luogo e superflua rispetto all’approdo filosofico definitivo di Nietzsche.
In parole povere: Nietzsche aveva già detto tutto quello che c’era da dire sulla crisi della cultura europea, sul nichilismo e sulla metafisica: non restava che prenderne atto. A questo punto Heidegger è stato costretto ad affrontare Nietzsche, a rispondere a Nietzsche, come scrive Roberto Calasso nella sua breve presentazione del volume, a trasformare la sua filosofia nella “metafisica della volontà di potenza”. Ne viene fuori un gigantesco agone tra due grandi pensatori. Sta a noi lettori decidere chi ne è uscito vincitore.
Dunque il lettore che decida di intraprendere la lettura di questo libro deve impegnarsi in un vero e proprio corpo a corpo con Martin Heidegger, il Pastore dell’Essere, con il rude Contadino “che erpica la brughiera” (è la sua traduzione in italiano), che pagina dopo pagina, riga dopo riga cerca di trascinarlo nel folto della Foresta Nera per farlo fuori più agevolmente (come la strega cattiva di Hansel e Gretel o come il famigerato serial killer della Foresta Nera), o quantomeno per fargli perdere l’orientamento, lo avvolge nelle spire possenti del suo pensiero come un vero e proprio boa deconstructor o come un gigantesco Anaconda. Si tratta di un corpo a corpo analogo a quello ingaggiato dallo stesso Heidegger con il pensiero e con gli aforismi di Nietzsche, anche quelli più stravaganti dell’ultimo periodo, quelli che la sorella del filosofo-filologo, Elisabeth Forster Nietzsche, raccolse e risistemò in modo arbitrario nell’opera postuma La volontà di potenza.
Heidegger era consapevole delle manipolazioni del pensiero di Nietzsche operate dalla sorella, che sotto il Nazismo dirigeva in modo dittatoriale il Nietzsche-Archiv di Weimar (e simpatizzava apertamente con gli uomini della svastica, Hitler in testa), ma ciò non gli impedì di sviluppare il suo ragionamento proprio sul Nietzsche dell’ultima fase, quella di Zarathustra, dell’eterno ritorno e della volontà di potenza. Il risultato di questo grande sforzo interpretativo fu proprio Nietzsche, pubblicato in due tomi presso l’editore Neske di Pfullingen nel 1961. Ora Adelphi ripropone in Italia in una edizione ampliata la sua prima traduzione del 1994, che conteneva già una Prefazione a cura di Franco Volpi, in cui veniva riconsiderato il costante confronto della riflessione filosofica di Heidegger con i testi di Nietzsche anche alla luce della decostruzione di Derrida, che in fondo proprio da Heidegger prende le sue prime mosse, a partire dalla distinzione fondamentale tra Destruktion e Zerstorung in Essere e Tempo (1927).
Ora sarebbe da dire, in un’epoca di rituale flagellazione di Heidegger (talvolta motivata ma non sempre), che gran parte della nuova filosofia del secondo Novecento è nata da questo strano incontro tra il Filosofo della Foresta Nera, che ama perdersi nei sentieri tra i boschi per poi sfociare nella radura dell’essere, e alcuni fra i suoi più brillanti discepoli, come Karl Lowith, Hans Jonas, Hannah Arendt e Hans-Georg Gadamer, e last but not least, il brillante filosofo deraciné franco-algerino Jacques Derrida, simbolo di una cultura cosmopolita e di quel giudaismo che Heidegger accusava di non avere alcun fondamento in un terreno sicuro, di essere il rappresentante di quella cultura senza radici, senza patria, cosmopolita e globalizzata, da lui tanto aborrita. Alla luce della polemiche seguite alla pubblicazione dei cosiddetti Quaderni Neri di Heidegger da parte di Peter Trawny – prontamente “scomunicato” dal responsabile della pubblicazione delle Opere Complete di Heidegger, Friedrich-Wilhelm von Herrmann – appaiono quasi patetici i tentativi degli esponenti della “sinistra heideggeriana” di giustificare il filonazismo e l’antisemitismo del filosofo di Messkirch. Alcuni studiosi addirittura parlano dell’antisemitismo di Heidegger come del nucleo centrale “esoterico” della sua filosofia, la cosiddetta dottrina della “segreta Germania spirituale”, di cui c’è solo un misterioso accenno nei Quaderni Neri.
Alcuni passi di questo libro di Heidegger su Nietzsche vanno dunque riletti anche alla luce delle polemiche che sono scoppiate nel 2014, quando si cominciarono a pubblicare i primi “quaderni rivestiti in tela cerata nera” sui quali Heidegger appuntava le sue riflessioni e le sue considerazioni, per poi riprenderle in un secondo momento nelle sue opere più sistematiche. Appena pubblicati i Quaderni Neri, con le loro considerazioni sul nazionalsocialismo, hanno suscitato un vero e proprio “caso” politico-filosofico e hanno costretto molti studiosi a riconsiderare l’idea di un Heidegger che aderì al Nazismo soltanto per un breve periodo, quando era rettore dell’Università di Friburgo, come testimoniato nel suo famoso discorso di insediamento L’autoaffermazione dell’università tedesca del 1933. Lo stesso dicasi per il suo antisemitismo, non più classificabile – alla luce dei Quaderni Neri – come un semplice abbaglio momentaneo poi ripudiato nell’immediato dopoguerra, ma come una costante che accompagna tutta l’opera di Heidegger anche dopo la fine della seconda Guerra Mondiale e la scoperta dell’orrore dei campi di concentramento.
Comunque, su questo infuocato dibattito saremo costretti a tornare quando finalmente uscirà il prossimo volume dei Quaderni Neri anche in Italia (Quaderni Neri 1942-1948. Note I-V ), volume a dir poco “esplosivo”, che era stato già preannunciato da Bompiani nel settembre del 2017, ma la cui uscita è stata rimandata di parecchi mesi. Evidentemente le numerose polemiche sull’antisemitismo di Heidegger scoppiate anche in Italia, a partire dal convegno sui Quaderni Neri organizzato da Donatella Di Cesare all’Università “Sapienza” di Roma nel 2015, hanno consigliato ai traduttori e ai curatori del volume di procedere con estrema cautela.
La pubblicazione del Nietzsche di Heidegger rappresenta del resto un nuovo episodio del duello a distanza su Nietzsche e Heidegger tra due big dell’editoria, Adelphi e Bompiani, il cui primo round si era disputato all’inizio degli anni Novanta quando Bompiani decise di pubblicare l’edizione postuma de La volontà di potenza (1992) a cura di Maurizio Ferraris e di Pietro Kobau, suscitando le reazioni indignate di Adelphi che già da diversi anni stava pubblicando la nuova edizione critica delle opere di Nietzsche a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari. La risposta di Adelphi a La volontà di potenza di Ferraris-Kobau fu proprio la pubblicazione del Nietzsche di Heidegger, con la traduzione di Franco Volpi basata sull’edizione critica di Colli & Montinari per quanto riguarda le citazioni da Nietzsche, volume che oggi viene riproposto nella collana Gli Adelphi.
In conclusione: sprofondando in queste pagine nell’abisso Nietzsche (e facendosi guardare dentro da questo abisso) Heidegger uscì dall’immane agone interpretativo in preda a una profonda crisi, personale e filosofica. Secondo la testimonianza del figlio di Heidegger, il Filosofo della Foresta Nera arrivò, alla fine del suo tour de force ermeneutico, ad affermare: “Quel Nietzsche mi ha distrutto!” Anche i lettori di questo libro potranno dire: “Quel libro di Heidegger mi ha distrutto!” e giunti al termine del volume, potranno avere tre tipi di reazioni differenti. Alcuni – i più disumani, o superumani – ancora avvinti nelle spire del pensiero di Heidegger, andranno a leggersi o a rileggersi il saggio “Chi è lo Zarathustra di Nietzsche?” pubblicato in Saggi e discorsi (Mursia), altri riprenderanno in mano la vecchia edizione Adelphi di Così parlò Zarathustra per cercare di capire ancora una volta che cosa voleva veramente dire Nietzsche, altri ancora invece andranno a rileggersi un vecchio numero della rivista di studi filosofici aut-aut (n. 217-18 del 1987), e in particolare un saggio di Richard Rorty, “Di là dal realismo e dall’antirealismo”, in cui il filosofo neopragmatista americano dimostra come sia letteralmente impossibile criticare la disputa metafisica Platone-Nietzsche – cui si sono aggiunti negli ultimi decenni Heidegger e Derrida – senza sprofondarci dentro, per cui è meglio lasciar perdere…