Zambrano, Lezama Lima / La semina delle origini

María Zambrano e José Lezama Lima, Corrispondenza, cura e tr. Alessandra Riccio, Edizioni degli animali, pp. 168, euro 18,00 stampa

Per quanto nascano spesso con una finalità o anche soltanto una fruibilità pubblica, le scritture diaristiche e gli scambi epistolari conservano un residuo che si potrebbe dire, per estrema semplificazione, di “segreto”, un residuo che la pubblicazione e la ricezione si impongono poi di proteggere e mettere a frutto. È il caso della corrispondenza tra la filosofa spagnola María Zambrano e l’autore cubano José Lezama Lima, un rapporto epistolare così lungo nel corso delle loro vite – estendendosi dal 1939 al 1976 (e interrompendosi, quindi, con la morte di Lezama Lima, ma anche con la fine del franchismo, in Spagna) – da costituire un tassello imprescindibile per la lettura di questi autori ormai canonici del Novecento mondiale. Grazie alla cura di Alessandra Riccio – attenta anche nel mantenere la vitalità, talvolta linguisticamente spuria, propria di questo scambio epistolare – Edizioni degli Animali ne dà ora una versione italiana, basandosi su quella – comprensiva di tutti gli scritti di Zambrano riguardanti l’opera di Lezama Lima – pubblicata già nel 2006 da una piccola casa editrice sivigliana, Ediciones Espuela de Plata, per la cura di Javier Fornieles. E non è il primo “segreto” valorizzato dal prezioso, rarefatto e dunque assai preciso catalogo dell’editore milanese che, negli ultimi anni, ha pubblicato, fra gli altri, autori come Pavel Florenskij Thierry Metz, Paul Shepard, Sunaura Taylor, Edmond Jabès, Domenico Brancale e almeno un altro autore ispanoamericano di sicuro rilievo, nella sua eterodossia, come Francisco Tario.

Spiritualità ed eterodossia attraversano alcuni di questi nomi e così è, naturalmente, anche per María Zambrano e José Lezama Lima, che esprimono a più riprese la loro visione del mondo, non di rado metafisica quando non mistica, nelle loro lettere. Tuttavia, il “segreto” che si potrebbe dire preminente di questo scambio epistolare sembra essere un altro: già in parte svelato dalla critica letteraria, riguarda le posizioni di Zambrano e Lezama Lima nel campo letterario e, in particolare, il segno lasciato nelle loro opere dalla comune afferenza alla rivista cubana “Orígenes” (1944-1956). È anzi un testo di Zambrano, intitolato La Cuba segreta e pubblicato nel 1948, che, da un lato, dà rilievo internazionale all’antologia Diez poetas cubanos (Dieci poeti cubani), curata in quegli anni da Cintio Vitier, e dall’altro getta le fondamenta filosofiche e critiche per un approccio alla letteratura nazionale cubana, per così dire, neo-indipendente. Un approccio che cerca, per quanto riguarda Zambrano, di svincolarsi dall’esotismo colonialista e, per quel che concerne i suoi interlocutori cubani, dà appigli troppo immediati a una filosofia della storia che poi – per alcuni di loro, in particolare, come lo stesso Lezama Lima o Virgilio Piñera – porterà a un esito rivoluzionario insoddisfacente e a tratti soffocante.

Sono superficialmente di natura diversa gli altri “segreti” presenti nello scambio tra Zambrano e Lezama Lima, ovvero le altre persone chiamate in causa, anche fantasmaticamente, dallo scambio di notizie fra i due, come ad esempio la madre e poi la moglie di Lezama Lima. Spicca, forse, su tutte la sorella di Zambrano, Araceli, terzo vertice silente di una triangolazione costante, alla quale, in occasione della morte, sono dedicate righe struggenti, sia da María che da Lezama Lima. Quest’ultimo, ad esempio, scrive: “Credo di aver compreso [Araceli] trent’anni fa, averla amata, aver sentito qualcosa più che ammirazione perché fa parte dei misteri, della comunione degli esseri nell’invisibile e nello stellare”.

Araceli, però, è anche il titolo dell’ultimo romanzo di Elsa Morante, con una scelta probabilmente dovuta anche alla conoscenza di Zambrano e di sua sorella durante il loro soggiorno a Roma. Ritorna, insomma, tra le righe un continuo travaso tra la dimensione personale e biografica e il piano dell’elaborazione intellettuale e letteraria: lo si può apprezzare anche nei riferimenti dell’epistolario al legame sizigiale di Zambrano con il medico italiano, naturalizzato spagnolo ed esule a Cuba, Gustavo Pittaluga e, soprattutto, al poeta spagnolo José Ángel Valente, che fu, in giovane età, segretario personale di  Zambrano e poi rimase in stretto contatto anche con il collega cubano Lezama Lima.

Ed è questo anche il nesso fondamentale che unisce la parte dell’epistolario e l’appendice che include tutti gli scritti dedicati da Zambrano all’opera di Lezama Lima, incluso il necrologio – per nulla amicale, anzi criticamente e filosoficamente molto denso – pubblicato su “El País” da Zambrano a poca distanza dalla morte del suo interlocutore cubano. Vi si sente, oltre alla conservazione e alla messa a frutto dei “segreti” finora esposti, un notevole prolungamento dell’eco di questo epistolario – eco che, per Lezama Lima, aveva invece significato la costruzione del personaggio di Inaca Eco (nomen omen) nel suo romanzo postumo, Oppiano Licario (pubblicato in traduzione italiana nel 1981 da Editori Riuniti e che forse meriterebbe una nuova edizione, così come la poesia di Lezama Lima ancora inedita in italiano), personaggio nel quale molti critici, e Alessandra Riccio con loro, hanno riconosciuto le fattezze della filosofa spagnola.

Nell’appendice, si può certamente leggere anche La Cuba segreta, dove Zambrano dà una delle prime e forse decisive definizioni della poesia di Lezama Lima, un autore incline, per Zambrano, all’intendimento della propria scrittura come “azione” più che come “contemplazione”, e al tempo stesso: “Non è la trasparenza – condizione dell’identità – la calamita della poesia, ma quell’altro indefinibile genere di unità oscura e palpitante. La poesia attraversa, è vero, la zona dei sensi, ma per arrivare a sommergersi nell’oscuro abisso che li sostiene. Prima che le sia consentito di ascendere al mondo delle forme identiche nella luce, deve discendere agli inferi, da dove Orfeo l’ha riscattata lasciandola mezzo prigioniera. E così la poesia abiterà come vera intermediaria l’oscuro mondo infernale e quello della luce, dove le forme appaiono”.

Naturalmente, questo passaggio risulterà esemplificativo dello stile di Zambrano tanto per i lettori esperti quanto per i neofiti (per i quali la Corrispondenza può essere benissimo una preziosa via d’accesso alla lettura dell’intera opera, essendovi condensati alcuni elementi fondanti e, per di più, nella loro qualità di “segreti”); gli uni e gli altri potranno forse condividere con chi scrive la sensazione di aggravamento della lettura che talora (molto raramente) viene prodotta da uno stile del genere, peraltro vincolato anche dalle costrizioni della forma epistolare in uso a metà del Novecento.

D’altra parte, però, è ancor più vero, per entrambi gli interlocutori dell’epistolario, quanto scrive Zambrano a proposito della poesia di Lezama Lima, e che si può rintracciare anche nell’interezza di questo volume, facendone lettura irrinunciabile: “Il seme stesso della parola si trova nel campo del poeta vero, impossibile da colonizzare e talmente indifeso da essere invulnerabile a qualsiasi invasione. ‘È seminato’ come si diceva in Andalusia di qualcuno che parlava davvero – che parlava per tutti in una specie di miracolo della parola, della vita, dell’essere, dello stare. Vittoria incontenibile della parola nella prova”.