Yasmina Reza, padre iraniano e madre ungherese, ebrei di Parigi, grande successo per un testo teatrale trasformato in film da Roman Polanski: Carnage (Il dio del massacro), ci ha pizzicato la pelle e l’anima per più di una stagione, denunciando al pubblico gli attuali prototipi di mariti e mogli figli del consumo di sé stessi. Lo “splendido” vomito di Kate Winslet, rovesciato su un libro d’arte nella parte centrale della pellicola (e del libro), resterà nella storia del body language come spaccio dei sentimenti. Ma Reza, come nella stragrande maggioranza dei suoi libri (tutti pubblicati in Italia da Adelphi) è scrittrice finanche capace di scendere a capofitto nelle zone ancestrali dell’infanzia, riuscendo a carpire quei segreti (a volte disastrosi) che ci portiamo dentro fino agli stadi finali dell’esistenza.
Da nessuna parte (titolo originale splendido, tragicamente beckettiano: Nulle part), è opera narrativa di grande temperanza, di snella struttura, e costruita per posature progressive. Dove l’infanzia delle cartelle e dei berrettini s’incrocia con la maturità sedimentata, spesso alla mercé di ricadute della reminescenza, e dunque del ristagno sentimentale. I luoghi che Reza rivede stanno al di là del finestrino di un treno, tutti i punti delle rette che compongono il paesaggio si affollano come in una sfuriata di pulviscolo, e per lei non c’è stata la salvezza della lingua, quella che fa partorire un paese dove si possa abitare. I rifugi, in questo racconto “stagionale” sono tutti sognati, e ogni personaggio ha a che fare con un futuro diventato tale nonostante l’infanzia.
A un certo punto, un lembo della storia ebraica sembra apparire dove Parigi è meno spettacolo, e da qualche parte un padre e una madre vorrebbero ancora pagare la parcella per ereditare il luogo dove i morti ancora possano sostare. La verità è che questi non sono più, e si capisce come anche i detriti se ne siano andati per sempre. Da nessuna parte sta in tutte le nostre parti, anche quelle relegate nella nostra incoscienza, Reza fa il giro di sé stessa con un piccolo libro natale, che costeggia con delicata e ferma educazione la sua storia più intima.