Yasmina Reza presentò i coniugi Hutner nel capitolo (“Pascaline Hutner”) a loro dedicato in Felici i felici, uscito da Flammarion e Adelphi nel 2013. Famiglia di depressi votati alla disperazione a causa (ma non solo) del figlio Jacob, convinto a tal punto d’essere Céline Dion da allestire veri e propri concerti nella propria stanza e rilasciare interviste agghindato con le sottovesti della madre e una capigliatura fatta con i nastri magnetici svolti dalle cassette musicali allora in voga. Nel racconto tutto viene virato in una farsa venata spesso d’idiozia congenita: i personaggi, pur di flirtare con la felicità, spostano molto in là ogni ragionevolezza. Come applaudire il figlio e ritrovarsi in mezzo ai paramedici della casa di cura mentre scimmiottano allegramente il disturbato Jacob. Come sembrare normale (e umile per una “grande star”) la richiesta di un umidificatore casalingo per la voce. L’affiatamento dei coniugi che surfano su impervie difficoltà fa sorgere malinconia nel lettore che vorrebbe vedere reazioni più lampeggianti, ma l’eccentrica creatura Jacob/Céline sembra sorprendere alle spalle l’atteggiamento consueto che le famiglie adottano sulle questioni di genere e binarietà.
Reza riprende personaggi e situazioni immergendoli in una pièce che fin dal titolo spiazza attori e spettatori. Il figlio è ricoverato in un istituto psichiatrico dove le identità si definiscono men che mai: si accompagna all’amico Philippe in preda a svariati problemi sulla sua identità nera (volendo essere come James Brown) ma che in realtà non esiste poiché la sua pelle è bianca. E d’altronde è vero che James Brown, re del soul, per alcune acconciature si sottoponeva all’uso dei bigodini come documenta una foto di Diane Arbus del 1966. I dialoghi fra la psichiatra e i genitori Lionel e Pascaline slittano su ogni tipo di pensiero totalitario, liberandosi (senza forse rendersene conto) di orientamenti reazionari. Reza, da quel genio di perfidia comica che è, mette in bocca alla dottoressa una forte difesa delle sorellastre di Cenerentola, “nate cattive” dalla penna dei fratelli Grimm per non suscitare compassione. Mutilate per punizione e molto più simili a noi di quanto non lo sia la futura benestante Cenerentola.
Il teatro di Reza ha oscure epifanie, esplora lo spaccio dei sentimenti adulti ma è capace di scendere a fondo nelle zone fluide dell’infanzia e della giovinezza. I dialoghi in James Brown si metteva i bigodini si avvicendano senza troppe parole sul filo della banalità quotidiana, accentuando i pensieri e i preconcetti vigenti in due mondi che divaricano sempre di più la propria visione. La difesa della loro integrazione, da parte dei genitori, va a frantumarsi contro l’inesauribile convinzione di Jacob d’essere davvero Céline Dion, e non un ragazzo posseduto da un’entità maligna. Le transizioni, nella pièce di Reza, vorrebbero armonizzarsi coraggiosamente in un tempo ferreo e buio – resistere a questo tempo, sconfessandolo, passa anche da qui.