Yang Jisheng / La strada per il paradiso

Yang Jisheng, Lapidi. La Grande Carestia in Cina, tr. di Natalia Francesca Riva, Adelphi, pp. 836, euro 38,00 stampa

Yang Jisheng, autore della grande testimonianza che rappresenta questo volume, è un giornalista cinese. Nell’aprile del 1959 si trovava lontano da casa a causa dei suoi studi quando venne avvisato che suo padre era in fin di vita: lo raggiunse immediatamente e lo vide morire pochi giorni dopo. All’arrivo nel suo villaggio natale, il villaggio di Mayuan, fu colpito dall’impoverimento circostante ma non si fece troppe domande – pensò fosse un caso isolato, di certo non diede la colpa al Partito comunista cinese (Pcc). Ciò avvenne solo più tardi, con la Rivoluzione culturale e con il suo lavoro presso l’agenzia di stampa Nuova Cina. Il tempo è trasparente e la Storia è rivelatrice al punto che pian piano alcune verità iniziarono a venire a galla – voci soffocate in funzione delle necessità del Partito, coperte da punizioni corporali e umiliazioni pubbliche.

Da qui parte il racconto di Yang, un bisogno viscerale di arrivare fino in fondo alla morte di 36 milioni di persone, tutte tra il 1958 e il 1962 – che provocò un calo del tasso di natalità pari a 40 milioni di nascite in meno, sterminando interi nuclei famigliari. Da dove partì tutto questo buio? Da un sistema totalitario mirato a instaurare una dittatura del proletariato, nonché da politiche erronee attuate da Mao Zedong e dal Pcc racchiuse nell’ideologia del Grande Balzo in avanti. Esso doveva rappresentare la “strada per il paradiso”, punto di arrivo dove il comunismo si sarebbe diffuso ovunque, dove la proprietà privata e gli interessi individuali sarebbero stati negati per dar luogo alla collettivizzazione agricola, dove i contadini sarebbero stati espropriati di ogni loro bene.

Se per estirpare la carestia che nacque da questo sistema disumano ci vollero degli anni – a seguito di risposte politiche e umane inefficaci – l’implementazione fu molto rapida. Alle famiglie fu requisito dallo Stato ogni mezzo per cucinare e sfamarsi autonomamente. Senz’altra forma di sostentamento privato, furono dipendenti in tutto e per tutto dalle mense comuni, che registrarono un’affluenza del 90% della popolazione. Il cibo abbondò per due mesi, poi il sistema collassò su sé stesso.

Avendo istituito il monopolio sul mercato, tutto ciò che veniva prodotto doveva essere venduto allo Stato – il quale stabiliva anche le quote di approvvigionamento a cui ognuno aveva poi diritto. Per soddisfare la domanda e non essere definiti deviazionisti di destra i quadri ingrossavano le cifre comunicate al Partito sulla quantità di cereali prodotta, il quale ne pretendeva poi la requisizione. Ben presto intere famiglie e interi villaggi si trovarono a consegnare allo Stato una quota di cereali talmente alta da non riuscire a sfamare nemmeno loro stessi. Il cannibalismo divenne una pratica comune in tutte le province colpite dalla carestia. Si diffusero malattie come l’edema, l’amenorrea e il prolasso dell’utero tra le donne e l’impotenza tra gli uomini. Chi veniva trovato a rubare qualche manciata di riso veniva torturato brutalmente e inumanamente dai quadri. Nella prefettura di Xinyang – che rappresentò l’epicentro della carestia – quando vennero scoperte le gravi torture che furono imposte ai cittadini, fu arrestato l’80% dei quadri di base. Tuttavia l’orrore e la violenza erano ormai già stati inflitti – e la “strada per il paradiso” risultò essere una Lapide, sotto forma di libro, eretta solo molti decenni più tardi, in memoria di milioni di persone scomparse nel silenzio.