Prosegue l’opera di pubblicazione, e di recupero di quanto già tradotto altrove, delle opere di William T. Vollmann da parte della casa editrice Minimum Fax: scelta intelligente e “golosa” per tutti coloro che apprezzano la scrittura dell’autore americano. Come un’onda che sale e che scende riprende la traduzione 2007 di Gianni Pannofino, uscita sulla collana “Strade blu” di Mondadori. La produzione di Vollmann si classifica, grosso modo, in tre categorie: fiction, saggi, e una zona ibrida intermedia, che volendo può essere dilatata da una parte e dall’altra fino a comprendere quasi tutta la sua produzione. Non esiste quasi, infatti, nella sua opera una fiction pura, non contaminata da digressioni, considerazioni, intervento diretto della voce dell’autore; specularmente, nei testi di divulgazione si inseriscono spesso parti romanzate. È caratteristico di Vollmann utilizzare questo “effetto speciale” che caratterizza la narrativa postmoderna, piegato alle esigenze di una “voce” molto riconoscibile; senza indulgere nel patetico e senza retorica, lo scrittore tenta in questo modo di stabilire una certa obiettività nel suo sguardo su storia, società e mondo. Come un’onda che sale e che scende è il limite estremo in questa direzione, dove il racconto-reportage costituisce la base per considerazioni che diventano universali. Tra l’altro, il libro è la versione ridotta (nell’edizione in lingua inglese, 734 pagine) di un’opera più vasta, pubblicata nel 2003 in sette volumi per un totale di 3.300 pagine circa; leggiamo nella prefazione: “Nella sua forma originale Come un’onda che sale e che scende consta di sette volumi. Una sola è la giustificazione che mi sento di avanzare: sono convinto che così dovesse essere. Anche per questa edizione ridotta mi limiterò a un’unica giustificazione: l’ho fatto per i soldi”.
Come altre dichiarazioni di Vollmann, anche questa va presa con il dovuto scetticismo; a me piace immaginare per esempio che abbia preparato questa edizione ridotta per me, e per tutti i suoi affezionati lettori che mai avrebbero potuto tenere in mano un’opera italiana in sette volumi, perché mai avrebbe trovato editore disposto a tradurla.
Come un’onda che sale e che scende è la summa di venti anni di lavoro di uno scrittore-giornalista che ha viaggiato le vie del mondo. È stato in teatri di guerra e nelle periferie pericolose, tra movimenti guerriglieri, organizzazioni criminali, fascisti, homeless, emarginati, migranti, prostitute, tutto ha osservato, e talvolta vissuto in prima persona (si pensi all’inedito in Italia The Book of Dolores, in cui Vollmann si fotografa in abiti femminili, con trucco e parrucca, e racconta se stesso come se fosse donna), tutto ha riportato nei suoi libri, e a un determinato punto della vita, passati i quarant’anni, cerca un denominatore comune. Il risultato è Rising up and rising down, intraducibile titolo originale di questo libro, che ha per sottotitolo “Pensieri su violenza, libertà e misure di emergenza”: opera ambiziosa, profonda, anche dolorosa, che tenta di trovare un senso in uno dei fenomeni centrali dell’esperienza umana: la violenza.
‘Una patria è una lingua, il modo in cui le strade curvano e il colore del cielo d’inverno, il modo in cui viene servito il caffè, il ritmo del traffico’. È per salvare queste cose che la gente commette violenze giustificate, ed è per estenderle che commette violenze ingiustificate. Io sono sinceramente convinto dell’utilità di un tale concetto di motivazione – le persone uccidono per ciò che le fa piangere – e vorrei convincere anche voi.
Il libro è articolato in più sezioni, analizza il caso di alcune figure storicamente associate alla violenza, attraversa poi situazioni vissute direttamente da Vollmann e giunge al cuore dell’operazione, cioè al capitolo intitolato “Il calcolo morale”. Lungo questo percorso, si sofferma quindi a lungo su alcune personalità: l’abolizionista John Brown e il presidente Abraham Lincoln, per la questione della schiavitù negli USA; Lev Trockij e Iosif Stalin per la rivoluzione russa, sono le principali; tenta di derivare regole di comportamento generale, in modo da verificare se sia possibile discriminare tra violenza giustificata (principalmente difensiva) e ingiustificata. Vollmann si mette nei panni di chi la commette, ma anche di chi la subisce, e tutto conduce a questo Calcolo Morale che occupa circa cento pagine del volume.
Il Calcolo Morale è una macchina concettuale, una sezione sinottica in cui ritrovare (o meno) giustificazioni a un’azione violenta. Naturalmente i problemi sono enormi, a partire dall’impossibilità che determinati valori siano assoluti, applicabili in tutte le epoche, situazioni e culture. Il fine però è encomiabile: ridurre al minimo la sopraffazione, la brutalità, la morte. Il punto di vista di Vollmann è in un certo senso illuminista, perlomeno quello di un figlio dei lumi ma disincantato, che si rende conto di come l’ingiustificabilità della violenza sia relativa e non assoluta. È lui stesso a trovare controdeduzioni, esempi opposti, riserve culturali, però il risultato è un pensiero profondamente umano, sinceramente interessato a capire il perché della violenza nel mondo.
Se il Calcolo Morale non può impedire soprusi e angherie, può aiutarci a discriminare da che parte sta la ragione. Negli esempi di Vollmann, nelle storie vissute personalmente (in Bosnia, Birmania, Giamaica, ecc.) la sua partecipazione al dolore delle vittime è assoluta, e se può apparire fredda è perché evita accuratamente qualsiasi retorica, qualsiasi spettacolarità del male. Come un’onda che sale e che scende lascia in bocca un gusto amaro, l’impossibilità di cancellare il male dal mondo, e al tempo stesso rifugge l’idea di torto come un concetto in bianco e nero. Nei libri successivi, Vollmann ha proseguito lo sforzo di comprensione della violenza, però il suo Calcolo Morale rimane un impressionante tentativo di razionalizzare, matematizzare i motivi della sofferenza, e in definitiva, di trovare un senso all’esistenza.