Il titolo di questo romanzo mi ha fatto venire subito in mente il sottotitolo di un romanzo magnifico, che per molti anni è stato quello che avrei portato su un’isola deserta se mai mi fosse successo di doverci andare: Possessione. Una storia romantica, di A. S. Byatt. E anche il quadro romantico per eccellenza, mi si è parato davanti: Viandante sul mare di nebbia di Caspar David Friedrich, con quella figura solitaria che ci volta le spalle e ci trasmette l’intensità e la profondità dell’essere assorto, del vivere fino in fondo l’esperienza con sé stesso, lontano dalla pazza folla, dalle comodità, dagli affari correnti.
Il “romantico” è Cashel Greville Ross, protagonista del romanzo di William Boyd, uomo dalla vita lunga e ricchissima, che noi seguiamo dalla culla alla tomba, messi a parte delle sue scelte e dei suoi pensieri, dei suoi amori e dei suoi errori, dei suoi rimpianti e delle sue avventure. Credo sia per questo che il libro è stato da molti definito un romanzo ottocentesco: la classicità dello svolgimento della storia, la ricostruzione degli avvenimenti, lo spazio degli imprevisti e dei ripensamenti e dei cambiamenti di rotta, la compiutezza perfetta di una vita non come tante ma di certo credibile e realistica. Oltre ai disvelamenti: quello che non sappiamo ma ci determina, quello che sappiamo e ci influenza, quello che non vorremmo sapere e ci sconvolge.
Il romanzo si apre con una nota dell’autore (anche questa una scelta piuttosto ottocentesca) e una domanda, che è poi quella che tutti a un certo punto ci poniamo: che cosa resterà di noi dopo che non ci saremo più? Boyd ricorda che anche nel caso di Greville Ross, vissuto lungamente e pienamente, restano poche cose: qualche oggetto, degli appunti sparsi, poche pagine di un’autobiografia incompiuta. Compito e potenza dello scrittore è quello di colmare i vuoti, di immaginare quello che non si sa. Ma per noi persone comuni, forse non ci sarà nessuno a rispondere alle domande rimaste aperte. Avete presente quando trovate delle vecchie foto di famiglia e ci sono delle persone che non avete la più pallida idea di chi siano? E non c’è più nessuno a cui potete chiedere? Non resta che inventare una storia.
Nella ricostruzione della possibile vita di Greville Ross lo vediamo attraversare paesi e continenti: dalla prima infanzia in Irlanda a Oxford, dalla battaglia di Waterloo all’India, dal Grand Tour in Italia all’America, per continuare con l’Africa, e di nuovo l’Italia, Trieste, la Grecia, Venezia. Lo vediamo attraversare vite diversissime tra loro: lo scrittore che racconta le sue avventure in un romanzo e nei salotti più chic di Londra; il giovane finito in prigione per debiti; l’amico di Shelley e Byron, l’innamorato della contessa Raffaella Rizzo; il contadino che cerca di far rendere una fattoria nel cuore del New England e si converte al cattolicesimo per sposarsi; l’esploratore alla ricerca delle sorgenti del Nilo Bianco; il detective alla scoperta di un traffico d’arte tra la Grecia e l’America. E lo seguiamo mentre con la stessa passione, lo stesso slancio, la stessa determinazione, intraprende queste vite sempre nuove. E lo vediamo attraversare i grandi eventi storici e il progresso, parte integrante dello sviluppo di un mondo che va di fretta e senza troppe sottigliezze.
Cashel sa restare a galla, sa reinventarsi, sa sfruttare le sue qualità e soprattutto il suo insaziabile desiderio di vivere e conoscere. Spesso agisce troppo d’impulso, sull’onda dell’emozione del momento, della rabbia. Ma poi ripercorre i suoi passi e ritesse i fili e le trame delle sue relazioni, che alla fine, nonostante la lunghezza della sua vita, l’ampiezza del suo raggio d’azione e la varietà dei suoi impieghi, rimangono poche e fondamentali: la madre, i fratelli, le figlie, e il fidato servitore/collaboratore Ignaz, profugo boemo dalle mille risorse.
Ecco, leggendo questo romanzo Cashel è diventato per me come un vecchio amico che mi ha raccontato tutta la sua vita, e a cui faccio fatica a tener dietro per quante ne fa e se ne inventa. E sicuramente, alla fine del libro, sono convinta anch’io che sia un uomo romantico: un uomo che antepone i sentimenti e le passioni alla logica degli affari e del denaro. Un uomo che ama la stessa donna per tutta la vita, per quanto ne sposi un’altra e di altre si invaghisca. Un uomo che vive con intensità, passione e dedizione, non solo l’amore ma tutto quello che fa. È quindi un romanticismo non fatto di rinunce e abnegazione, ma piuttosto del riconoscimento che c’è un amore che è più importante di tutti gli altri amori ma non più importante della vita. In questo penso si senta tutto il peso del secolo passato, in cui gli uomini avevano delle possibilità che le donne non potevano neppure immaginarsi. La madre di Cashel è costretta a inventarsi una rispettabilità e la contessa Raffaella deve sposarsi di nuovo dopo ogni vedovanza. Nella sua accezione femminile il romanticismo è una concezione di amore assoluto, non corrisposto oppure impossibile; un amore che devasta la vita e toglie significato a tutto il resto. Qualcosa che le donne forti, che vogliono vivere pur con tutte le difficoltà della loro condizione, sicuramente non cercano e non desiderano. In conclusione: se anche di noi persone qualunque non resterà nulla, se nessuno racconterà la nostra vita, avremo vissuto. E se siamo lettori, avremo anche vissuto un po’ delle vite degli altri. Vere o inventate, alla fine poco importa.
William Boyd / Riempire i vuoti, immaginare l’ignoto, quel che resta è letteratura
William Boyd, Il romantico, tr. Valentina Guani, Neri Pozza, pp. 448, euro 22,00 stampa, euro 9,99 epub