Insieme all’autobiografia uscita lo scorso anno, di cui già ci siamo occupati (Ognuno per sé e Dio contro tutti, https://www.pulplibri.it/werner-herzog-sentieri-nel-mondo/), questa imponente intervista realizzata e periodicamente aggiornata da Paul Cronin con la collaborazione del cineasta bavarese, è il migliore strumento di approfondimento e di riflessione sul cinema, la poetica e la visione del mondo di Werner Herzog. Minimum fax aveva già pubblicato qualche anno fa una versione precedente del testo (Incontri alla fine del mondo. Conversazioni tra cinema e vita, 2009 e 2014) ma questa nuova edizione del 2024 è stata interamente riscritta, rinnovata e aggiornata dagli autori, come un vero e proprio work in progress che rappresenta una sorta di regolare, costante glossa a commento della vita e della carriera del regista. La filmografia commentata arriva fino al 2014, anno di pubblicazione della versione originale americana del volume, cioè fino a From One Second to the Next, ma a colmare – almeno per le notizie e le informazioni a carattere generale – gli ultimi dieci anni, provvede la puntuale appendice del curatore Francesco Cattaneo che continua il percorso filmico da Queen of the Desert (2015) al non ancora distribuito – al momento dell’uscita italiana del libro – Theater of Thought del 2022.
Si tratta di un excursus globale attraverso la vita e l’opera di un artista e un personaggio diverso da qualunque altro, un tour de force in cui Herzog si confessa senza maschere, mostrando una sincerità disarmante e un rigore etico e intellettuale a dir poco adamantino. Infatti non solo ai film e al cinema sono dedicate queste pagine ma alla filosofia del cineasta nel suo complesso, al suo rapporto con la vita, con la natura, col mondo: un rapporto che ovviamente passa per il cinema e l’immagine ma non si esaurisce in questi. Herzog artista globale, Herzog contemplatore solitario – cime montane; rapide impetuose; voli silenziosi e precipitevoli nell’etere, con ausilio di sci, dirigibili, alianti; giungle inestricabili; deserti; vulcani in eruzione; ghiacci antartici; fino all’ignoto spazio profondo. Herzog il cui continuo viaggiare è l’antitesi della visione consumistica del turista: nomade e camminatore, rigorosamente a piedi, affrontando le intemperie, consumando le scarpe – un altro “uomo dalle suole di vento” come Rimbaud – esploratore di luoghi, prospettive e paesaggi inusitati, in compagnia di personaggi “al limite estremo” – nani, persone sorde e cieche, soldati bambini, alpinisti, trasvolatori, vulcanologi, prigionieri nel braccio della morte in attesa imminente dell’esecuzione, scienziati in esilio in Antartide, abitanti della Taiga, aborigeni australiani, artisti paleolitici, e con loro – vinti e vincitori, eroi e reietti, solitari, titanici, al di là del bene e del male, soli artefici del loro sogno o del loro incubo – il folle Conquistador Aguirre, Walter Steiner, Kaspar Hauser, il profeta bavarese Hias, Stroszeck, il vampiro Nosferatu, Woyzeck, Fitzcarraldo, il negriero Francisco Manoel da Silva, il dittatore cannibale Bokassa, Carlo Gesualdo da Venosa, i fuggiaschi Dieter Dengler – incontro alla salvezza – o Timothy Treadwell – incontro alla morte –, la “regina del deserto” Gertrude Bell, gli stessi Mikhail Gorbaciov o Bruce Chatwin. Sfaccettature, declinazioni dello sguardo di Herzog, articolazioni diverse di un’unica visione.
«Io non cerco mai avventure – confessa Herzog – Non ho un approccio irresponsabile. Faccio soltanto il mio lavoro. C’è una differenza tra l’esplorare e l’andare per avventure. Io sono curioso e sono in ricerca di immagini nuove e di posti dignitosi, ma anche se spesso mi viene attribuito il detestabile appellativo di “avventuriero”, lo rifiuto categoricamente». Così però parla della sua scuola itinerante di cinema: «La Rogue Film School è una provocazione. Si tratta di un modo di vivere, si tratta di avere il coraggio sufficiente per sviluppare la resistenza necessaria ad appropriarti della tua visione e l’entusiasmo che rende possibili i film, e infine si tratta di rafforzare i tuoi sogni. […] Non esiste scusa valida per non finire un film. Porta delle tenaglie sempre con te. Contrasta la viltà istituzionale. Chiedi scusa dopo, non il permesso prima. […] Intrallazza e inganna, arriva sempre al risultato. Non avere paura del rifiuto. Sviluppa la tua voce. […] Essere bocciati in un corso di teoria del cinema costituisce una medaglia al valore. Il caso è la linfa vitale del cinema. Le tattiche di guerriglia sono le migliori. […] Costituisci cellule clandestine della Rogue dappertutto». Un guerriero del cinema insomma – o piuttosto un guerriero della visione, della visione autentica – la metafora militare sembra appropriata ad Herzog: «Hai fatto certe scelte nella tua vita, e devi imparare a superare la disperazione e la solitudine. Rimani concentrato, calmo e professionale in ogni momento. Affronta tutto ciò che ti capita. Non puoi mai essere indeciso, neppure per un istante. Pianta i piedi nel terreno e non spostarti per nessuno. Fai film solo se senti un bisogno naturale dentro di te». Con lo stesso stoicismo agli inizi della carriera proclamava: «L’unico modo per smettere di fumare è smettere di fumare». Niente alibi, se devi fare un film, se devi non solo se vuoi, allora lo fai e basta: trovi i soldi, ti impegni la casa, al limite rubi (come Herzog rubò la sua prima macchina da presa), ma lo fai ad ogni costo.
Oltre l’intervista, le dieci poesie pubblicate dal regista nel 1978, il testo affascinante e visionario Pensando alla Germania del 1984, questo completissimo volume contiene anche La dichiarazione del Minnesota, un manifesto in dodici punti, scritto nel 1999, in cui Herzog declinava ironicamente la sua concezione del rapporto tra verità e fatto nel cinema documentario, demolendo il cinema vérité perché (punto 5) «Ci sono strati più profondi di verità al cinema e c’è una sorta di verità poetica, estatica. È misteriosa ed elusiva e può essere colta solo per mezzo di invenzione, immaginazione e stilizzazione. (punto 10) La luna è ottusa. Madre Natura non chiama, non ti parla, anche se un ghiacciaio a volte scorreggia. E non prestare ascolto al Canto della vita». Il riferimento è a un’intervista filmata a Katharine Hepburn, in cui l’attrice concludeva, commuovendosi, con un ultimo messaggio al suo pubblico: «Ascolta il Canto della vita». Herzog dichiara nell’intervista di aver trovato penosa, per quanto apprezzasse l’attrice, questa sua dichiarazione finale, tanto da citarla ellitticamente nel suo manifesto. Bisogna abolire il falso confine tra cinema documentario e fiction – rimarca Herzog – non è concesso nessun piagnucoloso sentimentalismo. La verità documentaria va cercata e ricostruita stilizzandola, la fiction si immerge nel mondo fuori dagli studi e dagli scenari prefabbricati e una nave scala davvero una montagna, se deve, come in Fitzcarraldo. Ma il mondo naturale non ha niente a che vedere con Disney, un orso è solo un orso, non la caricatura di un uomo, e la tragedia di Grizzly Man ce lo dimostra. La verità estatica non è mai un idillio: la giungla, le cime montane, il cuore dei vulcani, i ghiacci antartici, sono mortali e terribili, sono Lezioni di Oscurità – per quanto rifiuti di essere riconnesso all’estetica del Romanticismo tedesco, Herzog ripropone qui con altri termini il concetto di sublime in Kant e in Schiller – (punto 12) «La vita negli oceani deve essere un totale inferno. Un vasto, spietato inferno di pericolo costante e immediato. Un inferno tale che nel corso dell’evoluzione alcune specie – incluso l’uomo – sono strisciate fuori, sono fuggite su piccoli continenti di terraferma, dove le Lezioni di Oscurità continuano».