Qualche tempo fa, navigando in rete, mi sono accidentalmente imbattuto in una polemica attorno al libro oggetto di questa recensione. Confidando nel fatto che se qualcuno stava profondendo dell’impegno nel denigrarlo, mentre gli sforzi di altri erano tesi a difenderlo, mi sono detto che forse avrei potuto trovarvi all’interno qualche elemento di interesse. Così me ne sono stato lontano dalla bagarre e l’ho letto cercando di maturare le mie considerazioni in autonomia.
Per prima cosa va detto che in Italia le raccolte di racconti in genere incontrano difficoltà rispetto ad altri cosiddetti “prodotti editoriali”, pertanto almeno da questo punto di vista l’edizione de L’anno del fuoco segreto è da considerarsi lodevole. L’antologia, che comprende venti racconti di autori italiani più o meno noti, ha quale intento quello di dare spazio a narrazioni non convenzionali, ricollegandosi alla tradizione della narrativa weird o – come viene riportato nel sottotitolo – dello “sconcertante” (italico). Torneremo su questo punto più avanti.
Inutile e ozioso sarebbe procedere a una disamina dei singoli contributi all’antologia e si ritiene pertanto maggiormente opportuno cercare di analizzare l’opera nel suo complesso, visti anche i suoi intenti “programmatici”. Con questa raccolta si cerca un punto di vista originale sul reale attraverso l’utilizzo della letteratura fantastica; questo tipo di approccio, in alcune delle svariate manifestazioni che ha avuto nel corso della storia (horror, fantasy, fantascienza…) ha contribuito a evidenziare, attraverso uno sguardo obliquo, le contraddizioni del presente o addirittura punti di vista alternativi sullo stesso. La rappresentazione mediata ha offerto alla “letteratura di genere” (non realista), la possibilità di affrontare temi di elevata complessità e ampio respiro, distanti dai piccoli drammi quotidiani del singolo individuo, ed è in questa chiave che l’antologia si oppone al realismo, ovvero non come narrativa escapista, ma come strumento per evidenziare in maniera indiretta contraddizioni e percorsi possibili rispetto al presente del mondo che abitiamo.
Alcuni temi risultano ricorrenti o più marcati di altri; il lettore sarà stimolato a ragionare su argomenti quali l’identità sessuale, la corporeità e la percezione del corpo, l’(auto)coscienza e la sua disgregazione, l’alienazione e lo spaesamento nel percorrere universi digitali. Gli strumenti narrativi scelti dagli autori sono svariati e così ci si troverà di fronte a forme che ripropongono il racconto weird “classico”, derivato cioè dalla tradizione americana degli anni Venti e Trenta, calato nel contemporaneo, ora rivisitato in chiave ironica, ora invertendone la progressione narrativa usuale (dal quotidiano al bizzarro, mutata nella forma dal bizzarro al quotidiano); molti altri racconti rimandano alla tradizione della fiaba, vuoi per struttura, vuoi per tono e lessico. Le prove più interessanti presenti nella raccolta, sono quelle in cui lo sperimentalismo narrativo si esprime attraverso la costruzione del racconto attraverso la giustapposizione alternata di trame diverse e separate: in questi casi sarà il lettore a dover cercare il sentiero per interpretare la storia nello “spazio bianco” tra una linea narrativa e l’altra.
Il progetto non manca di ambizione, poiché punta al confronto con temi complessi attraverso forme non convenzionali, insomma al netto di un giudizio qualitativo sui singoli racconti (peraltro spesso distanti gli uni dagli altri sotto molti aspetti) è encomiabile la volontà di dare spazio a delle voci che rifiutano di adeguarsi al modello dilagante di prosa “a grado zero”, apparentemente ricalcata su traduzioni dall’inglese di bestseller americani, ma osano esplorando la potenzialità espressiva della lingua, con sperimentalismi e impennate liriche.
Tutto questo almeno nelle intenzioni. La perplessità maggiore di fronte a questa antologia da parte di chi scrive potrebbe sembrare questione da poco, tuttavia come si accennava sopra, appare evidente l’intenzione di presentarla come opera organica, esito di quella che parrebbe essere una tendenza narrativa carsica italiana: come dobbiamo leggere questo new weird italiano, dunque? Etichetta commerciale? Rimando al new italian epic teorizzato da Wu Ming anni fa? Insomma, anche sorvolando sulla scelta di fregiare questo filone di un nome in inglese, quello che sfugge è l’elemento di novità, inteso come contrapposizione a un passato. Non si riscontra antagonismo o continuità con una presunta tradizione di old weird italiano, l’aggettivazione suggerisce cioè un confronto che sfugge.
Quanto al weird presente in questi racconti si tratta di qualcosa di molto diverso dal genere di cui ha ereditato la denominazione e questo a causa dei mutati scenari sociali, economici e culturali: questa narrativa, ormai scollegata da quella popolare, viene da subito elaborata con una forte impronta autoriale. In breve, se un tempo critica sociale o dei modelli di sviluppo poteva essere occultata tra le pagine di un romanzo di fantascienza acquistato in edicola, scritto e venduto obbedendo a logiche commerciali, qui le visioni alternative dell’esistente scaturiscono da una forma narrativa liberamente adottata, in cui gli autori impongono la propria voce. Come già detto ci troviamo in un mondo cambiato rispetto a quello in cui circolavano racconti su rivista (tra l’atro, questo avveniva soprattutto in contesto anglosassone), dove era questione primaria avvincere il lettore con la trama, per condurlo a prospettive scomode e perturbanti sulla realtà; qui lirismi e sperimentalismi risultano positivamente stimolanti, specie se considerati nuovo punto di partenza e non meta conclusiva del percorso di ricerca.
Concludo con una considerazione di carattere statistico. Rinnovando la mia stima per questa pubblicazione coraggiosa sotto molti aspetti, ho constatato dai cenni biografici sugli autori riportati al termine di ogni racconto, una certa omogeneità di provenienza geografica e culturale (intesa come case editrici presso cui hanno già pubblicato o siti e riviste con cui collaborano). Si tratta di una questione numerica difficile da smentire (contare per credere), anche solo per quanto riguarda la zona di provenienza: la stragrande maggioranza degli autori viene dalla Toscana, più spesso da Firenze. Nulla di male in sé, ma lascia perplessi l’etichetta (in effetti già di per sé toscaneggiante) di “novo sconcertante italico” attribuita al libro, probabilmente un po’ troppo estensiva riferita al caso specifico. Fermo restando la completa libertà di antologizzare chi si vuole, vista anche la presenza all’interno del libro di molti narratori di valore, chi scrive si ostina a sperare che uno sguardo obliquo sulla realtà – lo si voglia chiamare weird o sconcertante – sia in realtà diffuso anche in altri contesti e in tutto il nostro Paese. Italy o Italia, che dir si voglia.