Walter Siti e il Bene. Intervista

L’ultimo libro di Walter Siti, Contro l’impegno. Riflessioni sul bene in letteratura (Rizzoli) critica l’idea che la letteratura debba avere una funzione terapeutica e combattere l’infelicità sviluppando empatia, in particolare critica l’idea (diffusa specialmente a sinistra) che debba essere volta al Bene e cercare di «riparare il mondo», o viceversa (come pensa la destra) proteggere i valori etico-religiosi di una comunità o Stato.
In questo modo si dimentica che la letteratura è un contenuto messo in forma, e che il suo compito non è rassicurare e farsi veicolo di messaggi quanto piuttosto suscitare problemi, illuminare zone contraddittorie, suscitare domande piuttosto che dare risposte. Siti critica anche i  modi della comunicazione in Rete che privilegiano una fruizione frammentaria e decontestualizzata  dell’opera d’arte che, però, nulla ha a che fare con l’estetica del frammento modernista seguendo piuttosto le mode culturali e/o imposte dal mercato.

Il libro di Walter Siti ha suscitato un ampio dibattito in rete e su riviste e quotidiani.


PULP. Una cosa che colpisce nel suo libro è che lei pur criticando fortemente Roberto Saviano e Michela Murgia – ma qualcuno ha scritto magari essere “stroncati” così da Walter Siti – nel tempo stesso quasi si scusa con loro e fa una sorta di mea culpa sulla sua mancanza di impegno e di indignazione davanti alle ingiustizie del mondo… È solo una forma di cortesia oppure riconosce che c’è del “necessario” in questa loro attitudine all’indignazione?

W.S. Non so quanto l’attitudine all’indignazione sia necessaria, ma certo è socialmente utile; devono solo stare attenti a non semplificare o esagerare troppo gli attacchi che portano ai loro avversari, perché rischiano di diventare a loro volta delle figurine mediatiche e quindi di fare un favore agli avversari stessi. La mia non è una forma di cortesia ma l’amara realtà: l’indignazione non mi viene spontanea, e uno non se la può dare.

PULP. La ricerca del “bene” in letteratura fa male o fa male essere dei cattivi scrittori? Nel suo libro lei infatti definisce ottimo il romanzo I Buoni di Luca Rastello (purtroppo morto prematuramente) che sicuramente era impegnato da questa parte della barricata, sia nella sua vita di giornalista e attivista, sia come scrittore.

W.S. Luca Rastello era un buono incapace di adeguarsi agli stereotipi e agli schieramenti pregiudiziali; la forma letteraria, quando fa il proprio mestiere e non è puro estetismo, può portare in superficie ombre latenti ma può anche ridar vita ai sentimenti positivi, liberandoli dalla retorica. Prendo l’esempio da un gioco verbale di Alessandro Bergonzoni: “da quando mi è morto il cane non lo porto più fuori, lo porto dentro”. Io che trovo detestabile la retorica dell’amore per i cani (“sono meglio degli umani”, “è mio figlio” eccetera) con quella frase ho capito quanto e come li si possa amare.

Pulp. Fra gli esempi positivi di scrittori impegnati (nella propria scrittura e nella vita) lei cita Sartre, e il cinicissimo Brecht di Santa Giovanna dei Macelli. Queste figure di intellettuali le paiono degli esempi ancora attuali e riproponibili, e in che termini?

W.S. L’idea di Sartre, che la libertà è soprattutto ricerca, e l’idea brechtiana dello straniamento mi paiono tuttora vive e vitali; umanamente il secondo mi sta più simpatico del primo, ed entrambi si appoggiavano a schemi di interpretazione della storia che ora appaiono scaduti, ma i loro testi “creativi” restano nonostante tutto, e non è solo intelligenza. Darei un braccio per aver scritto Le parole o La nausea, o Madre Coraggio o Primavera 1938. Il Brecht della Santa Giovanna non è cinico, è shoccato dal funzionamento della finanza.

PULP. Dopo l’uscita del suo libro molti critici e scrittori l’hanno discusso e sostanzialmente accolto le tesi in esso contenute. Sembra però una sorta di chiamata per addetti ai lavori. Mancano all’appello gli autori di narrazioni nate su blog, piattaforme come wattpad, facebook ecc. Che differenza esiste fra queste scritture? Ha ancora senso, secondo lei, questa divisione fra scrittori e tipo di scritture che invece a vedere le classifiche non esiste proprio?

W.S. Le classifiche contano meno di zero. Non ho niente, ovviamente, contro qualunque forma di podcast o self publishing o blog vari; suppongo, anche se ne ho ascoltati o letti pochi, che in mezzo ci sia roba buona. È il filtro che manca: o sono troppo succubi del mito della “autenticità”, o di quello del “format di successo”; spesso le “stories” si accontentano della sincerità momentanea e non cercano sotto il privato le verità più generali. Preferisco la Recherche a un qualunque gay che mi racconta le sue pene di gelosia, anche se la gelosia nella Recherche è falsamente provata per una ragazza.

PULP. Lei scrive che “la scrittura engagée rischia di diventare una specializzazione merceologica, come il fantasy o il self help” e aggiunge che “al centro delle analisi letterarie che ora appaiono più aggiornate (la biocritica e il darwinismo letterario) non c’è tanto la ricerca del senso quanto lo studio dell’efficacia”.  Per ovviare a questa commercializzazione, che comprende anche la filosofia diventata counseling o la storia, … basta resistere producendo buona letteratura? O come dice il titolo di un suo recente romanzo Resistere non serve a niente?

W.S. Non è tanto recente, l’ho scritto dieci anni fa. Resistere è l’unica cosa che si può fare, ma sono preoccupato perché di solito la moneta cattiva scaccia quella buona; temo che per una “letteratura di ricerca” lo spazio si restringa sempre di più, a forza di grotte nel deserto anche i monaci anacoreti scarseggeranno.

 

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PULP. Nella nostra rivista abbiamo una rubrica di libri “merdavigliosi” in cui recensiamo le produzioni di cantanti, influencer, politici… perché riconosciamo in queste opere quel “guilty pleasure” di cui anche lei partecipa a quanto si legge nelle sue pagine magistralmente dedicate al fenomeno Barbara D’Urso. Come mai, nel momento in cui la letteratura non si capisce più cosa sia, tutti sentono il bisogno di scrivere di cimentarsi con la narrazione di storie? In particolare i politici come se il discorso proprio della politica non fosse più sufficiente. Ultima in ordine di tempo la Meloni…

W.S. Il “guilty pleasure” nel leggere i libri “merdavigliosi” ha a che fare col gusto camp e con una buona dose di snobismo, oltre che col piacere infantile di ingaglioffarsi. Tutt’altra cosa è la furia narrativa che ha preso chiunque, dai giornalisti ai politici, dalle veline ai calciatori; è un misto di interesse commerciale (o elettorale), di narcisismo scriteriato e di auto-indulgenza favorita dall’omertà degli editori. La D’Urso che monta il caso Mark Caltagirone è sublime, quella che scrive (si fa per dire) la propria autobiografia è solo una delle tante.

PULP. Mai come in questo periodo l’accesso al sapere è praticamente illimitato. Non serve essere degli specialisti per trovare in rete tutti i libri di tutti i generi, compresi naturalmente i suoi, e compresi libri ormai introvabili e non pubblicati da anni che una comunità di volenterosi scansiona e mette a disposizione di tutti gratuitamente. Inoltre (come detto) tutti “vogliono” scrivere. Possibile che in questo non ci sia del bene di per sé?

W.S. Non mi pare. È vero che in Rete trovo 10 mila voci di bibliografia su Dante, ma se non sono in grado di leggere la Commedia perché non ne capisco la lingua, è perfettamente inutile che faccia il figo citando a destra e a manca. Temo che ormai sia venuta meno la “competenza linguistica” per orientarsi nel mare magnum delle scritture. L’alluvione non è ricchezza. Manca la possibilità di costruirsi con le proprie forze una gerarchia di importanza e di valore. “Voler scrivere”, purtroppo, non significa niente; bisogna vedere se la realtà, o il sogno, vogliono essere scritti da te.

PULP. Uno dei saggi più interessanti è quello che si intitola “Scienza e ideologia”. Nella seconda parte lei sembra dare una chance alle riflessioni di Alberto Casadei che senza nostalgia per ciò che dovrebbe essere “ritiene che l’attuale tendenza letteraria alla semplificazione e alla standardizzazione non sia solo negatività” e pensa a combinazioni di tutte le arti in un “allegorismo complesso” tecnologicamente avanzato. Il «Dante del web». È così? Pensa possa essere una via?

W.S. Penso che, se la letteratura “solo scritta” sta andando forse verso un periodo di vacche magre, l’opera totale composta da parole immagini e suoni sia invece nell’infanzia del proprio percorso, e che lentamente, come Dio vorrà, nasceranno opere memorabili.

PULP. E in questo caso cosa ne sarà dell’autore, l’invenzione nata insieme al romanzo?

W.S. Chi l’ha detto, che l’autore è un’invenzione nata insieme al romanzo? Catullo non era forse un autore? E Dante Alighieri, e Petrarca? Non è un autore Sofocle? Chiunque costruisca strutture verbali complesse e inconfondibili, chiunque marchi con le proprie opere un’epoca, chiunque sia stato scelto da una Musa per incantare e stupire e far pensare i posteri, costui è un autore, checché ne dicano le teorie di moda.

PULP. Permetta una piccola provocazione. Il suo libro così brillante pur basandosi su un sapere indiscusso e approfondito non rischia anch’esso di servire pillole di argomentazioni utili a tenere in una comfort zone solo gli addetti ai lavori e la loro nicchia di lettori?

Il suo ragionamento sarebbe giusto se io fossi convinto che la letteratura è una cosa alta e nobile, che fa sentire superiori chi la pratica e chi la legge; ma io non lo penso affatto, e chi brandisce il mio libretto per confermarsi in un’idea del genere ne fa una cattiva lettura. Io non consiglierei mai, a un giovane che ne può fare a meno, di dedicarsi alla letteratura. La letteratura richiede coraggio e competenza (come tante altre discipline e missioni sociali) per scoprire e far durare nel tempo cose che spesso non fanno piacere. È tutt’altro che una comfort zone, mi creda.