Some one came knocking
At my wee, small door;
Someone came knocking;
I’m sure-sure-sure;
I listened, I opened,
I looked to left and right,
But nought there was a stirring
In the still dark night;
Only the busy beetle
Tap-tapping in the wall,
Only from the forest
The screech-owl’s call,
Only the cricket whistling
While the dewdrops fall,
So I know not who came knocking,
At all, at all, at all.(Walter de la Mare – Some One)
Walter de la Mare (1873-1956) è un autore ormai piuttosto trascurato e considerato “datato” anche nella nativa Inghilterra dove pure ha goduto di una certa fama soprattutto come poeta – la sua poesia più famosa The Listeners si trova inclusa in praticamente ogni antologia scolastica del Regno Unito, quasi come per noi Davanti a San Guido di Carducci. Non ha invece perso del tutto vigore la considerazione come narratore, campo in cui le sue qualità stilistiche e, per così dire, atmosferiche – per altro imponenti anche nei versi, forse eccessivamente algidi e classici – emergono con maggiore pregnanza e originalità. Se i suoi quattro romanzi rientrano tutti nella categoria del bizzarro e almeno in un caso (The Return, revisionato in tre versioni, del 1910, 1922 e 1945) anche del sovrannaturale, sono soprattutto i racconti che gli assicurano un posto di rilievo fra gli scandagliatori dell’inconscio e dell’inquietudine psicologica ed esistenziale afferenti a qualche disperso rivolo del cosiddetto Modernismo. Il percorso letterario del Nostro si inserisce, almeno in parte, nella tradizione squisitamente britannica e anglosassone della ghost-story che si avvia nel Novecento essenzialmente lungo due direttrici aventi entrambe per capostipite un diverso James: da un lato Montague Rhodes, e il fantasma esplicito prolungato nel Cosmic Horror di William Hope Hodgson, Algernon Blackwood, Arthur Machen, per arrivare fino a Lovecraft e oltre, dall’altro Henry, e il fantasma implicito di The Turn of the Screw, che insieme a Rudyard Kipling, e, per l’appunto, Walter de la Mare, maestri dell’allusione e dell’ambiguità, ispireranno più tardi Robert Aickman e Shirley Jackson. De la Mare è un vero maestro in questo campo e resta ineguagliato nella fine tessitura delle sfumature che ordiscono trame sottili in cui tutto è suggerito e niente è detto, e dove le forze estranee, concrezioni del rimosso e dell’inespresso, non travalicano mai il limite dell’accenno, del sottinteso, del vago brivido indecifrato. Più labirintico che gotico, lo scrittore sa evocare perfettamente situazioni liminali tra il sogno e la veglia, tra il banale e lo straordinario, tra il prosaico e l’irrazionale e descrivere personaggi crepuscolari, contemplativi, sognatori, solitari, visionari. Fra i più estremi visionari ci sono i bambini: il mondo dell’infanzia lo affascina e in esso saprà calarsi senza smancerie e leziosaggini. Scriverà numerose storie e poesie per bambini e in molte sue storie adulte i bambini saranno fra i protagonisti più efficaci e inquietanti.
Le fortune italiane di Walter de la Mare sono alterne. Dopo un periodo di attenzione tra gli anni ’80 e i ’90, quando vengono tradotte e pubblicate varie brevi antologie di racconti miscellanei per Sellerio, Guanda e soprattutto per la benemerita Theoria curata da Malcolm Skey, e si recuperano persino le favole di Storie di animali (Longanesi) e il romanzo più interessante, Memorie di una donna in miniatura (uscito nel 1921, tradotto per Longanesi già nel 1947 e ripreso più volte da vari altri editori) – storia bizzarra, apparentemente realistica, non di una nana ma di una lillipuziana (non dwarf ma midget), ragazza bella e perfettamente proporzionata ma di dimensioni minuscole: un’adulta condannata ad essere bambina per sempre – segue un lungo periodo di oblio pressoché totale. L’eclisse viene oggi interrotto dalla piccola e iperspecialistica Hypnos di Milano diretta dal patrono del weird italiano, Andrea Vaccaro, che dopo aver portato ormai quasi a conclusione la pubblicazione della narrativa breve completa di quello che viene normalmente considerato il discepolo e il continuatore di Walter de la Mare, Robert Aickman (1914-1981), si avvia a fare la stessa cosa anche per il suo maestro, cominciando con l’appena uscito L’enigma e altre storie (tr. Elena Furlan, pp. 424, euro 24.90 Hypnos editore), sotto la curatela come sempre impeccabile di Giacomo Ortolani. La pubblicazione dei racconti di de la Mare volume per volume e non secondo scelte parziali ed arbitrarie com’era avvenuto finora, ci da modo non solo di avvicinarci all’autore filologicamente e diacronicamente, ma soprattutto di conoscere anche le storie non fantastiche e non soprannaturali dello scrittore, molte delle quali di livello nient’affatto inferiore a quelle più note e caratterizzanti.
Nel volume appena uscito infatti compaiono, seguendo l’edizione originale, a fianco di classici già editi singolarmente e ben noti all’appassionato, come La zia di Seaton – originalissima storia di vampirismo psicologico – Dal profondo – ritorno notturno come fantasma persecutore del rimosso di un’infanzia negata e respinta – L’enigma – fiaba nera di bambini scomparsi – Le vasche – casuale e ineffabile confronto con la tacita testimonianza di un altrove assoluto – anche racconti meno visionari e più realistici dove comunque il senso di Unheimlichkeit, seppure non sovrannaturale o fantastico, resta predominante: fra questi ricorderò il mio preferito, Miss Duveen, cronaca memoriale del precario, farneticante e tormentoso sodalizio – ispirato tanto dalla reciproca curiosità quanto dal timore – fra un adolescente solitario e la matura vicina di casa psicotica.
Dopo questa prima raccolta The Riddle, uscita nel 1923, altre delizie ci attendono: The Connoisseur del 1926, On the Edge del 1930, The Wind Blows Over del 1936, e altre minori fino all’ultima, A Beginning, del 1955 – Hypnos dovrebbe farle uscire tutte, a intervalli regolari, come ha già fatto per quelle di Aickman – dove ritroveremo a fianco di nuovi testi, fantastici e non, ancora da scoprire, i capolavori weird già letti in passato, come Mr. Kempe, All Hallows, Crewe, What Dreams May Come, The Recluse, The Trumpet, ecc. Il racconto tipico di de la Mare ha una struttura ripetitiva eppure sempre originale: un narratore, un luogo “atmosferico”, l’incontro con un testimone riottoso che enuncia di solito in termini elusivi e ambigui, pieni di digressioni e riluttanze, eventi inspiegabili e misteriosi che inducono la progressiva sospensione dell’incredulità da parte dell’interlocutore e il suo cedere graduale di fronte alla possibilità di accettare la realtà effettiva dell’infestazione, il potere sottile ma erosivo del genius loci, infine un particolare minimo, una sfumatura, il proiettarsi di un’ombra o l’echeggiare di un suono che non dovrebbe esserci e c’è o che dovrebbe esserci e non c’è – l’essenza dell’eerie secondo Mark Fisher – va a confermare, quasi, le affermazioni del testimone e costituisce, forse, la prova che qualcosa si è manifestato davvero, che il fenomeno, l’epifania, l’apparizione riferite potrebbero essere reali. Che la corda di un vecchio campanello possa davvero richiamare dall’oblio l’ombra del temuto maggiordomo, spauracchio di un’infanzia sfuggita come in Out of the Deep; che un giardiniere suicida possa tornare a regolare i conti sospesi in forma di spaventapasseri come in Crewe; che un’antica abbazia di provincia venga ricostruita e trasformata poco a poco, pietra dopo pietra, notte dopo notte, da luogo sacro in empio, ad opera di potenze demoniache, come in All Hallows; l’enigma resta sempre inviolato alla fine del testo e mai si profila una soluzione soddisfacente dove ciò che è detto prevalga sul non detto. Questa è la magia di Walter de la Mare.
Nato nel Kent da una famiglia di evidente ascendenza ugonotta francese – Delamare che riportò allo spelling originale de la Mare – educato nella scuola della Cattedrale di San Paolo, nel cui coro di voci bianche cantò e nella cui cripta riposano le sue ceneri, Walter – o meglio Jack, come sempre preferì farsi chiamare da amici e parenti – condusse una vita scandalosamente povera di eventi. Lavorò per diciotto anni come impiegato nell’agenzia londinese della compagnia petrolifera americana Standard Oil, senza rinunciare a scrivere, finché nel 1908 una pensione onoraria del governo gli permise di dedicarsi interamente alla letteratura; considerò suoi maestri di stile, dopo Shakespeare, Edgar Allan Poe, Henry James e Thomas Hardy; si sposò con Constance Elfrida Ingpen, di dieci anni più anziana di lui, dalla quale ebbe quattro figli, sebbene attendibili testimonianze puntualizzino spesso la sua quasi totale assenza di interesse per il sesso; ebbe una lunga relazione platonica, prevalentemente epistolare, con la Literary Editor del Saturday Westminster, Naomi Royde-Smith, musa ispiratrice della sua poesia; attraversò indenne, da civile, le due guerre mondiali; fu in contatto più o meno stretto con tutto il gotha letterario anglofono, da G. K. Chesterton a Robert Frost, da W. B. Yeats a T. S. Eliot, da Katherine Mansfield a Virginia Woolf, da Henry James a Thomas Hardy; insieme a Churchill fu una delle poche personalità del suo tempo, e l’unico scrittore, a venire insignito con entrambe le massime onoreficenze dell’Impero britannico, l’Order of Merit, e l’Order of the Companions of Honour, una figura dunque del tutto istituzionale; morì nel 1956 per una trombosi coronarica che lo aveva colpito già nel 1947 costringendolo a passare gli ultimi anni prevalentemente a letto accudito da un’infermiera della quale si innamorò. La sua biografa Theresa Whistler ha scritto di lui:
Ebbi una conversazione a colazione con Walter de la Mare nel 1950, in South End House, Twickenham. Lassù le finestre guardavano verso i rami più alti dell’amato platano nel giardino ed entrambi eravamo molto consapevoli della sua presenza di fronte a noi. Io avevo da poco passato i vent’anni, lui era nell’ultimo anno del suo pieno vigore, nei tardi settanta. Mi suggerì che l’immaginazione arriva in forme assai differenti e ne menzionò tre – per prima l’immaginazione dell’intelligenza – per terza l’immaginazione del corpo. Ma quella che soffermò la mia attenzione, anche dal tono della sua voce mentre nominava la seconda, fu l’immaginazione del cuore. Dal modo commosso in cui ne parlava era evidente che questa fosse per lui la suprema.
Bibliografia consultata:
Memorie di una donna in miniatura (Memoirs of a Midget), traduzione di Margherita Santi Farina, Longanesi, Milano, 1947; poi Serra e Riva, Milano, 1990, prefazione di Angela Carter; ora ALET, Padova, 2008
L’artigiano ideale: racconti, traduzione di Piera Sestini, con una nota di Attilio Brilli, Sellerio, Palermo, 1986
Ognissanti, a cura di Malcom Skey, Theoria, Roma-Napoli, 1986
Il rinchiuso e altri racconti, a cura di Malcolm Skey, traduzione di Ottavio Fatica, Theoria, Roma-Napoli, 1989
Racconti del mistero, traduzione e postfazione di Enrico Groppali, Guanda, Parma 1991
La tromba, traduzione di Cristina Guerri, con una nota di Attilio Brilli, Sellerio, Palermo, 1993
Storie di animali, Longanesi, traduzione di Anna Malvezzi, Milano 1984
L’enigma e altre storie (The Riddle and Other Stories), traduzione di Elena Furlan, a cura di Giacomo Ortolani, Edizioni Hypnos, Milano 2022
Theresa Whistler, The Life of Walter de la Mare, Duckbacks, London 2003