Prose pubblicate postume nel 2003 (Campo Santo in originale), immergono in qualcosa di più che una vacanza in Corsica. W. G. Sebald va direttamente dentro i confini allucinati di un territorio dominato da luci che precipitano “come dardi”, e dove le vestigia di antiche foreste passano dai dirupi al mare in un sol colpo, lasciando intendere che lì si possono vedere cose che altrove non stanno. Fino alla metà dell’Ottocento, nell’isola, i cimiteri non esistevano e i defunti consumavano l’oltrevita nei ritagli di terra antistanti le loro case, a diretto contatto con gli scampati. E se nulla possedevano, venivano depositati alla rinfusa in appositi pozzi. Questo ha reso la Corsica sede di eventi spettrali fuor di misura, e schiere di trapassati simili a fili di fumo ancora oggi vengono avvistati.
C’è un’aria troppo luminosa e arida che sta intorno all’umano consorzio, questo avvince le anime facendole rivoltare in una movida ultima, vivi e trapassati arrivano al cancello sul mare scoperto da Sebald in una foto giunta per posta. La vediamo all’interno del libro, dispersa immagine di una scuola di Porto Vecchio, ormai approdo della rovina temporale.
In quel silenzio affiorano segni e ricordi che vorrebbero riconciliarsi, approfittando del desiderio mai sopito nell’autore di mettere pace col proprio inesausto vagabondare. Ad Ajaccio non si accontenta di ritrovare le consuete vestigia napoleoniche, scova perfino il racconto che Kafka fa circa le vicissitudini della salma imbalsamata, resa pubblica in passato ogni anno a favore degli invalidi che vi sfilavano davanti. Anche la corte di personaggi spettrali, che affollano la dimora dell’imperatore e i dintorni, naviga secondo le correnti d’aria, proprio come reliquia sfilacciata e un po’ raccapricciante. Sebald ci ha lasciato i destini incrociati di umani e foreste, in schegge di prosa (mirabilmente tradotte) indimenticabili.
Dopo le prose definite dal racconto arrivano i saggi, lontani nel tempo e più tardivi, dedicati a Handke, Nabokov, Kafka, Chatwin, e i discorsi tenuti in occasioni ufficiali dove sempre più il critico e il prosatore s’identificano nella stessa persona, e dove si verifica la ben nota “poetica” dello scrittore: “il mio medium è la prosa, non il romanzo”. La storia è questa, la visione e il viaggio s’insinuano fra appunti di mistero e verifica dei piaceri e dispiaceri del mondo. L’escursione per via geografica in Sebald diventa indagine sugli autori che prediligono il fare notturno della realtà, il suo peso lontano dagli incantesimi. Ma pur sempre nell’alone del mistero: che possiede muri a secco abbandonati e coste frastagliate, e assenze d’uomini migrati altrove nei millenni.
Dalle viandanze saturnine (Gli anelli di Saturno, appunto) in cui decadenze migratorie vengono annesse ai disfacimenti bellici e al contrasto aereo verso la Germania nazista (qui il pellegrinaggio è inglese), agli itinerari esplorativi del Nord-Est italiano (partendo da Vienna verso Verona, Venezia, il Garda, in Vertigini), personaggi storici o altri per lo più dimenticati si alleano volentieri alla lingua di Sebald, testardamente legata con nodi incrociati allo sguardo dotato d’ottica d’alta gradazione. Ora Tessiture di sogno giunge nella sua completezza al lettore italiano, ben stabile nel suo tempo che annulla quello storico portando alla ribalta tutto quel che è stato, e che gli uomini hanno dimenticato. Ma le vestigia parlano, in un’isola come la Corsica, e in altri luoghi come anch’essa tenaci. Sebald ci parla di questa tenacia, da camminatore in cui la cronaca fortemente voluta si traduce in pagine e pagine di traduzioni di quanto Secondo Natura sta intorno allo scrittore e a noi col suo idioma avvolgente e spesso violento.