Espressione altera, il ventre eloquente, la mano destra di Maria vigila sul grembo gravido: l’immagine di copertina del libro di Vittorio Sgarbi presenta la Madonna del parto di Piero della Francesca, dipinto che rivolge allo sguardo il “preludio” alla maternità. Insinua nelle nostre risorse mentali la prova umana – anche stilistica – della Concezione, quando il Bambino ha dalla sua parte la grazia e la maestosità dell’opera materna. Sgarbi avvia nello spazio (Monterchi) il suo libro affidandolo subito al tempo che ci governa nella nostra lillipuziana porzione di universo: la crescita avviene dopo l’inizio divino della storia – tema dell’Annunciazione che fa parte del mondo degli umani – dopo che la religione cristiana ha attuato, congedando gli dei, i suoi tratti coincidenti con la vita terrena. La religione dell’uomo e della donna, «in particolare su quest’ultima, attraverso la figura della madre Maria» s’appoggia il sentimento della fede. Dal paesino toscano alle regioni francesi per porre l’attenzione sul passaggio precedente, il grembo di una donna ritratto da Courbet nel modo più rivoluzionario si potesse fare – con L’origine del mondo – quattro secoli dopo Piera della Francesca.
Il viaggio nei secoli di Sgarbi in Natività rasenta la teoria critica dell’esistenza, chiarisce una volta per tutte quanto l’atto finale del Cristo, la morte, sia interamente contenuto nella corrispondenza tra madre a figlio – per questo il rapporto degli artisti con il tema non si estingue ma si trasforma da Caravaggio in poi. Niente di assoluto, ma due eventi, nascita e morte, molto umani. Nessuno come madre e bambino “sente” la vita, scrive Pier Paolo Pasolini in una poesia citata nel libro – ugualmente il Cristo poco prima di rimettere il corpo nelle braccia di Maria: le Pietà nel mondo sono fine e inizio di una nuova storia. Soprattutto nel Michelangelo ventitreenne della Pietà vaticana l’ispirazione viene da Dante: la Madonna è “vergine madre”, “figlia del tuo figlio”, dunque ragazza giovanissima. Adolescente che guarda, meditando, «un bambino che tiene sulle ginocchia». «Non è una Pietà: è una Maternità».
La vita interiore di Maria è immagine ancora superiore alle nostre idee comuni, guardando l’Annunciata di Antonello da Messina: donna, sola, che tiene il suo segreto con il gesto a mezz’aria della mano destra, come volesse suggerire una pausa all’angelo annunciante, di fronte a lei ma a noi invisibile. Crediamo che l’apparizione ci sia, lo stesso pittore con un grande empito di modernità, ne ordisce la sostanza concettuale. Maria ha un libro sul leggio, forse non vuole interrompere la lettura e ordina una pausa a colui che le si presenta davanti. L’Annunciata non subisce, si presume che pensi “un momento, aspetta”, ma è il suo volto – bellissimo, scrive Sgarbi – a rivelare il “frutto divino” che il suo corpo già contiene.
Natività può leggersi (e la lettura trova strumento principe nello sguardo) come un romanzo d’amore assolutamente unico che alimenta passione e mania: di fronte al trittico ligneo di Simone Martini, Annunciazione e due santi, si è sedotti da una Vergine che si ritrae intimidita quando l’angelo le si presenta con un movimento inaspettato e arcano. Sgarbi annota quanto sia sinuoso il corpo dell’Annunciata, inserito in uno spazio danzante e onirico: «L’Annunciazione è una danza, un tango che si è impresso nella nostra memoria proprio come un motivo musicale».
Questo è un libro che rivela, e talvolta svela, quanto oggi manca ai più, nello svanire di ciò che dovrebbe essere pertinenza mentale verso le opere d’arte: svapora il senso che si definiva “comune”, liberando i cani al seguito di mercificazione e razzismi culturali. Occorre riaffermare come si galleggi dentro un tempo italiano in cui l’aria tesa della pandemia si è trasformata in un ritorno dei fascismi e nel contagio ben più virale della violenza maschile. Il fallout nucleare e l’avvelenamento bellico sono alle porte di tutti. Questo è un libro dedicato ai viaggiatori dei secoli, che si spera esistano ancora, insieme a Giotto, Raffaello, Simone Martini, Piero della Francesca, Michelangelo, Caravaggio, Rubens, e ancora Antonello da Messina, Lorenzo Lotto, Ignazio Stern, Carlo Maratta, non privandoci di rapide incursioni fra Ottocento e Novecento con alcune opere di Previati, Segantini, e del sorprendente Domenico Maria Durante. Se la parola “educazione” ha ancora un senso, rivolgiamoci a chi oggi ha la facoltà di far convivere l’antico e il moderno, così come Eliot riusciva un secolo fa, nel 1922, con la Waste Land.