Una delle poesie più significative di Frontiera (1941), la prima raccolta di Vittorio Sereni – di cui ricorre il quarantennale della scomparsa –, è Soldati a Urbino: lodata persino da Saba (non è cosa da poco) in una recensione a Diario d’Algeria, apparsa sul “Nuovo Corriere” il 4 dicembre 1947. Così scriveva l’autore triestino: “Due ‘sodati girovaghi’ – il poeta ed un suo compagno – passeggiano per le strade di Urbino. Li si sente umili, poveri, spiritualmente inerti. Il compagno parla, come se non credesse molto nemmeno a lei, di ‘una stella’ che ‘forse’ sarebbe tornata un giorno a risplendere nel cielo della sua vita. Il poeta tacendo conferma. Quella dubbia stella – che certamente non era Marte – è tutta la loro speranza”. È una sintesi davvero prodigiosa dei principali temi sereniani nella decrittazione di un testo che assolve, suo malgrado, le funzioni di mise en abyme.
Ragionando diacronicamente, sono in tutto quattro le sillogi di Sereni: oltre le già menzionate Frontiera e Diario d’Algeria, le due più mature, Gli strumenti umani (1965) e Stella variabile (1981). L’“avara vena” del poeta luinese – “quella che chiamava […] quand’era in pantofole la sua stitichezza” (Pier Vincenzo Mengaldo, Ricordo di Vittorio Sereni) – è proverbiale e va di pari passo con la tornitura formale di poche, brucianti liriche, tutte rivestite del carattere di necessità. Apparso originariamente nel 1986, Tutte le poesie è per natura un volume compatto, determinato da una strenua “coerenza di ricerca” e da “una linea senza fratture”, un quadrilatero perfetto i cui vertici irradiano l’energia e il senso della ricerca esistenziale del più montaliano tra gli autori della cosiddetta terza generazione (ricco di spunti in tale direzione è il testo critico Dovuto a Montale del 1983). Scrive Isella nell’importante prefazione al libro: “Quei suoi travasi calcolatissimi, quell’attenzione calcolatissima volta a gettare tra raccolta e raccolta agili passerelle di collegamento equivalgono a una discreta […] ma ferma sottolineatura della diversità nella continuità della propria esperienza”.
Maria Teresa Sereni, “Pigot”, curatrice dell’edizione, ha lavorato con lungimiranza sull’apparato variantistico (riguardo a Stella variabile “decise di registrare le correzioni appuntate a penna dall’autore in vista di una nuova edizione”, così nell’Avvertenza dell’editore). Ha inserito, inoltre, come envers du décor dell’opera in versi le traduzioni del Musicante di Saint-Merry (1981; con versioni da Pound, Char, William Carlos Williams, Frénaud, Apollinaire, Camus, Bandini, Corneille).
Cosa resta oggi della poesia di Sereni? Tanto. I titoli sempre opportuni, esatti (Azalee nella pioggia, La ragazza d’Atene, Pin-up girl, Frammenti di una sconfitta, Comunicazione interrotta, Appuntamento a ora insolita, Il piatto piange, Verano e solstizio, Luino-Luvino). Gli inizi folgoranti, l’inesausto ritmo, la tensione nominale: “Sarà che esistono vite come foglie morte – / la casa tra le acque / evidentemente in rovina / quella lebbra repressa dall’acciaio / quei ragnateli di suoni domestici di appena ieri / (e vuoti i letti umidi i divani le poltrone deserte) / lasciala nel lampo del suo enigma / espunta dal traffico riproposta a ogni rotazione del Riverside Drive / non chiederti dove saranno mai finiti / non dire che la vita è carbonizzazione o divorzio / (ma strano che uno ricordi solo questo di una intera metropoli) // oppure inezie di un viaggio d’inverno nell’immenso – / il palpebrìo del jet nel suo orgasmo di mutante / quando è ancora e non è più / un numero-luce scattato sul tabulatore di New York” (Lavori in corso). Restano soprattutto il colloquio con i morti, le perplessità antropologiche sulla società opulenta, le “luminescenze” del pensiero tendenti a una negatività straordinariamente assertiva.