Vittorio Lingiardi / In sogno Bach e Bob Dylan sono amici

Vittorio Lingiardi, L’ombelico del sogno, Einaudi, pp. 177, euro 12,00 stampa, euro 4,99 epub

Quando ci addormentiamo, e qualcosa di nuovo si attiva fra le sinapsi, il sogno ci fa attraversare un quasi-imbuto – simile allo spazio in cui sono presenti i buchi neri cosmologici – che ci trasporta, anzi ci unisce, all’ignoto, come con rara efficacia illustra Vittorio Lingiardi, unendosi alla considerazione di Freud, nel suo libro: accade così come epoche che hanno viaggiato per tremila e più anni si distendano di fronte al nostro sguardo, ci invadano in una fatale visione del mondo ospitante e di come immaginiamo che esso appaia nella nostra mente. Nella completezza del tempo – in veglia e in sonno – che distingue noi umani. Amore e avventure ce ne sono sempre, e accade che l’Odissea sia sempre qui, e un Ulisse misterioso si presenti a Penelope e lei gli racconti un sogno pieno di oche bianche (i Proci) e un’aquila che ne fa banchetto. Tutto inizia nella suddivisione fra le porte attraverso cui passano i sogni: l’una di corno e l’altra di avorio. Dalla prima i sogni emergono fidati e capaci di avverarsi, dalla seconda soltanto inganni.

I sogni. Lingiardi ricorda Il fiore delle mille e una notte, film di Pasolini conquistante molti amanti del cinema, là dove la molteplicità onirica è un regno domestico e sconosciuto insieme. La sostanza del sogno esiste da sempre, una mescolanza che sa di proibito e di speranza. Esiste per l’autore uno snodo essenziale dove si avvia l’indagine. Gli antichi guardavano il futuro, orchestrando premonizioni e profezie attraverso il sogno. Freud inverte la freccia del tempo, guarda il sogno “in funzione del passato”. Per lui si tratta di una formazione nata dall’infanzia, “dai desideri” iniziali.

Il viaggio, in L’ombelico del sogno, inizia e si distende in cerchi concentrici, diventa il mondo dell’umanità. Dove troviamo i Greci, Jung, Coleridge, Paul McCartney, Dreyer e Hitchcock, Bergman e Tarkovskij, e la poetessa Patrizia Cavalli.  Per capire il mondo, e capire Lingiardi, abbiamo bisogno di abbassare le resistenze, di farci affascinare dai colori di Vertigo, mai improvvisati (il “verde pericoloso” di quel film nulla ha a che fare con il verde dei “classici” invasori spaziali), e dalle costruzioni DC Comics in linea con le ingegnosità custodite da Stephen King. Non un intrigo architettato in veglia ma la vera sostanza che parte da Gilgamesh e giunge a Die Traumdeutung attraverso soglie e sentieri infiniti. Nessuno ha mai contato i sogni, ma tutti ne conosciamo il periglioso cammino che la forza delle parole (ancora una volta l’umano dice la sua) può nel bene e nel male amministrare.

Le 170 pagine del libro ci raccontano una storia inesauribile, inducono a amare l’ascesa della mente umana (perlomeno fino agli istanti prima della sua caduta qui e oggi prevista e vissuta nei suoi esordi), dagli antichi e dal messaggio biblico, da Giacobbe fino a Schömberg e Chagall attraverso tutte le specie del sogno. Lì s’inserisce la poesia, Lucrezio, Sandro Penna, Rilke, Simic e naturalmente Shakespeare: si tratta di lasciarsi andare nella stagione di mezza estate e considerare le ore migliori per sottostare alla squisita invadenza del racconto delle onde cerebrali. È sempre una “notte indaffarata” anche se non ricordiamo nulla al risveglio. Non dimentichiamo che Lingiardi è psichiatra e psicanalista, però ama il cinema e ha sempre in mente l’aspetto visivo del tema, si diverte in mezzo a tutti i mondi possibili e impossibili, e cerca di far divertire chi non si accontenta di fermarsi in un solo tempo e considera possibile l’amicizia fra Bach e Bob Dylan.