Lo scrittore e giornalista Vittorio Emanuele Parsi, studioso e docente di Relazioni internazionali, nel suo nuovo saggio si cimenta con un tema di stringente attualità: l’obliterazione, a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso, di quel progetto di ordine liberale internazionale che intendeva armonizzare la sovranità statale e l’economia di mercato attraverso la promozione della democrazia nei singoli stati e il sostegno alla cooperazione economica e commerciale a livello internazionale. Il sempre più esorbitante potere del mercato ha difatti contribuito nel corso dei decenni a dirottare verso lidi perigliosi l’obiettivo di partenza, quello cioè di proteggere le società nazionali dagli shock costituiti dalle guerre e dalle crisi finanziarie, indirizzandolo in maniera spasmodica nella difesa del mercato globale dalle pressioni sociali.
Servendosi dell’icastica immagine di una nave costantemente sull’orlo del naufragio, funestata da sabotaggi e ammutinamenti, l’autore riflette sulla crisi delle democrazie liberali che sta tristemente caratterizzando la nostra epoca, attribuendone la causa a svariati fattori, tra cui in particolare l’ascesa di movimenti neopopulisti e l’incapacità di un coordinamento sovranazionale, soprattutto di fronte a sfide che richiederebbero ben altra attitudine alla collaborazione, dal cambiamento climatico planetario alle pandemie, dalle migrazioni all’inquinamento globale, dall’esaurimento delle risorse naturali ai modelli di consumo sostenibile. Le radici profonde di una tale drammatica situazione sono da attribuirsi, secondo Parsi, alla rottura dell’equilibrio tra democrazia ed economia di mercato, che ha dato luogo al progressivo avvento di un ordine globale neoliberale: si profilano così all’orizzonte una lunga serie di minacciosi ostacoli che rischiano di far affondare il vascello su cui l’Occidente ha navigato sin dal termine della Seconda guerra mondiale.
Passando in rassegna i pilastri dell’ordine internazionale liberale e la sua evoluzione storica, il volume offre quindi uno sguardo ravvicinato sugli elementi chiave delle agende politiche basate sui valori e sul contesto internazionale sul quale fu fondato l’assetto postbellico. Si esaminano le ragioni della fallita distribuzione dei cosiddetti “dividendi della pace” alla fine della Guerra fredda; si seguono le fasi della crescita, in potere e influenza, di nazioni come Cina e Russia; si esplorano le opportunità e le limitazioni di una riorganizzazione interna della comunità transatlantica per recuperare la leadership, con precipua attenzione al potenziale dell’Unione europea di dividerne l’onere. Di particolare interesse è poi l’analisi dell’era “post 11 settembre”, caratterizzata da una sorta di polverizzazione della minaccia terroristica che ha ingenerato una serie di conseguenze strategiche e geopolitiche i cui effetti – in modo precipuo nell’area mediterranea – sono a tutti evidenti.
La conclusione cui giunge il saggio è lapidaria: affinché l’ordine internazionale liberale ottenga un’altra chance di esistere e funzionare, sarà necessario ristabilire un sistema democratico più giusto ed inclusivo a livello nazionale, nonché un rinnovamento della cooperazione in scala più ampia. Solo così il “Titanic”, metafora efficacemente impiegata dall’autore per indicare il complesso di istanze sociali, politiche ed economiche che hanno condotto all’affermazione della democrazia come oggi la concepiamo, potrà continuare a veleggiare dopo la collisione forse fatale cui è andato incontro e proseguire il proprio viaggio “alla ricerca di acque più calme e venti più dolci”, per usare la poetica espressione del professor John Ikenberry. Un cambio di rotta s’impone dunque per riuscire a immaginare un futuro realmente vivibile anche per le giovani generazioni, e ciò potrà realizzarsi unicamente perseguendo principi di equità e soprattutto adoperandosi per ripristinare la fiducia dei cittadini, troppo spesso traditi nelle loro esigenze di giustizia. Sarà in grado il blocco di governo mondiale che domina i popoli di assicurare tutto questo? Il nuovo ordine da perseguire non è forse ontologicamente incompatibile con la libertà e la dignità dell’uomo?
La risposta a questi interrogativi è condizionata alla capacità di muoversi in una direzione diversa da quella seguita finora e di uscire da una crisi etica e di sostenibilità, non solo ambientale che dura ormai da molti decenni. E se la dimensione artificiale dell’interdipendenza che abbiamo costruito intorno a noi ha reso il fattore umano più vulnerabile, proprio mentre prometteva di dispiegarne al meglio le potenzialità, è giunto il momento di correggere tale stato di cose e di ricollocare l’uomo e la donna al centro e in armonia con la natura, per poter riacquistare quella pienezza che rende la vita un’esperienza autenticamente completa. Sempre che non sia troppo tardi, visto che a molti il Titanic, col suo altezzoso e oligarchico progetto, sembra irrimediabilmente affondato.