La violenza addosso

Joyce Carl Oates, Acqua nera, tr. Maria Teresa Marenco, Il Saggiatore, pp. 138, euro 16,00 stampa

È il 1993 quando Black Water (1992) viene tradotto e pubblicato per i tipi della piccola ed effimera casa editrice Anabasi. Joyce Carol Oates, classe 1938, allora nota ai lettori italiani per una manciata di libri ma già corteggiata dalla stampa, spiazza subito chi, più o meno velatamente, vorrebbe marchiarla di morbosità: “Mi sento molto fraintesa. Io scrivo sulle vittime della violenza, eppure i miei critici dicono che scrivo sulla violenza. Dal mio punto di vista ho sempre scritto sulle conseguenze della violenza”. A corroborare i fraintendimenti di cui sopra è l’urticante soggetto del breve dolente romanzo, Acqua nera, ispirato allo scandalo di Chappaquiddick Island del 18 luglio 1969, in cui a essere coinvolti furono Ted Kennedy e la ventisettenne Mary Jo Kopechne.

Il Senatore e la Passeggera.

American Crime (Hi)story. “Lui, uno dei potenti della terra, un uomo virile, un senatore degli Stati Uniti, un volto famoso e un passato tortuoso (…) un frutto degli anni Sessanta.”

“Lei era quella che lui aveva scelto. Quella sull’auto lanciata ad alta velocità. La passeggera. (…)  Sono pronta? pronta? pronta?

Insegnante e attivista democratica durante la campagna presidenziale di Robert Kennedy nel 1968, Lei è una delle sei Boiler Room Girls presenti alla festa sfavillante ed esclusiva che esponenti di spicco del partito avevano organizzato in loro onore. Capelli biondi, sguardo onesto: il suo ritratto sulle prime pagine dei tabloid non mente. Mary Jo quella notte non era pronta a morire. Imprigionata nella Oldsmobile Delmont 88 del Senatore, inabissatasi nelle acque melmose di un lago. Morte per soffocamento, la versione ufficiosa. Morte per annegamento, quella ufficiale. Omissione di soccorso da parte di Ted Kennedy: il corpo di Mary Jo verrà ritrovato il mattino dopo. Stando ad alcuni testimoni, avrebbe potuto salvarsi. Se.

Il resto è storia. Frammento musicale di un’epopea americana che la Oates aveva già iniziato a comporre. Epopea delle vittime. (Devo morire? …così?)  Dei loro amorali carnefici. Nessuna condanna per l’idolo infranto dell’American Dream, solo il ritiro della patente per sedici mesi, il pedigree (politico) non più immacolato. E, come da copione, il “rimorso” tardivo del last lion nell’autobiografico memoir postumo True Compass (Edward M. Kennedy, Tenere la rotta. Una famiglia leggendaria, una vita al centro della storia americana, Mondadori, 2010): mea culpa di un cattolico infingardo atterrito dalla liquida oscurità del trapasso.

alle Kelly…

L’incipit: una dedica. Un De Profundis. Nel desolato “canto e controcanto” (così lo definiva la Oates in un’intervista) che dona al libro la veste di una partitura resa mirabilmente dalla bella traduzione di Maria Teresa Marenco, intatta nella nuova edizione de Il Saggiatore volti voci eventi si trasfigurano, conquistano un’aura possente: “volevo che la storia diventasse in qualche modo mitica, fosse l’esperienza quasi archetipica di una giovane donna che ha fiducia in un uomo più anziano e la cui fiducia viene violata (…) Lei che si aspetta amore e salvezza da chi le sa dare solo la morte. Il tradimento più efferato”.

Nel 1995 il romanzo diventa un libretto d’opera. Ma Kelly/Mary Jo è una figura tragica che non ha scelto la propria fine. Vittima di eros e politica, “il negoziato del potere” sentenzia la scrittrice in Acqua nera – Kelly, la sera del 4 luglio 1992, a Grayling Island, Maine, conoscerà soltanto l’efferata intimità della seduzione. E poco importa se la trama immaginaria della Oates non coincide (forse) con gli antefatti realmente accaduti a Chappaquiddick, se il Senatore è un inetto conte Scarpia e Kelly la preda docile, la calda amante che non avrà vendetta. “Mentre l’acqua nera le riempiva i polmoni, e lei moriva” uno dei leit motiv che contrappuntano lugubremente il testo Kelly contempla inerme la cromata sepoltura riservatale dal destino, ingannata anch’essa, “nell’ora del dolore”, come canta Floria Tosca nel melodramma pucciniano. Quel “non feci mai male ad anima viva” è l’epitaffio di un’eroina sconfitta e di tutte le Kelly.