Viola Ardone / Fuori dal manicomio

Viola Ardone, Grande Meraviglia, Einaudi, pp. 304, euro 18,00 stampa, euro 9,99 epub

Elba è il nome del grande fiume del nord che attraversa la Germania – e la storia della nostra Elba è proprio come un fiume: scorre implacabile fino a sfociare nel mare, fino ad arrivarci dentro, fino a farsi giustizia. Viola Ardone ci è riuscita di nuovo: dopo Il treno dei bambini e Oliva Denaro, ci ha fatto dono di un’altra storia meravigliosa, vera, palpabile, umana.

Tutto ciò che Elba conosce è il mezzomondo, il manicomio dove sua madre venne internata e dove la partorì. Tutte le stranezze, tutti i dolori, tutte le ossessioni vengono viste attraverso gli occhi di una ragazzina, rielaborate con un vocabolario tutto suo, metabolizzate fino a credere che il mondo intero, il mondo che c’è fuori, sia nebbioso, non abbastanza vero da desiderare di entrarci. E infatti Elba – che matta non è – vorrebbe star per sempre lì, sull’orlo della pazzia altrui, perché solo così potrebbe sentire sua madre vicina.

Il registro linguistico cambia una volta che Elba viene dimessa – noi lettori percepiamo da subito l’entrata nel mondo intero, nel mondo fuori dal manicomio, anche per come Elba continua a raccontarci la sua storia. Spariscono i soprannomi, spariscono le persone internate, spariscono le torture, evapora anche il registro linguistico con cui Elba racconta – lei stessa matura, studia all’università. Elba narra la sua vita fuori con una prosa e con parole e frasi ordinate – ma basta un accenno al mezzomondo, una visita, per ritornare allo schema linguistico e comportamentale iniziale: come se la vita di Elba nel mezzomondo fosse ancora lì, a braccetto con l’esistenza che conduce fuori ma incapace di amalgamarsi, sempre ben distinte nello stesso corpo dolorante.

Elba entra in punta di piedi nel mondo intero, sembra farsi piccola piccola per non occupare troppo spazio in una realtà di cui non conosce i meccanismi. C’è tanta tenerezza nella narrazione di Ardone – tenerezza che impara a essere tenace, a fare di testa sua, a lasciarsi indietro il dolore della perdita e di ciò che non può avere. Sembra meraviglioso quanto possiamo ottenere se c’è qualcuno che crede in noi, così come è accaduto a Elba – come un fiume è arrivata al mare della vita. Quel qualcuno è Fausto Meraviglia, psicoterapeuta che ferocemente si batte per la chiusura dei manicomi.

Meraviglia è un individuo bizzarro, libertino, che vive secondo sue proprie leggi specifiche: non proiettare e fottersene. Il suo è un “amare da lontano [come] una forma di autotutela”: entrare nelle vite e nella mente delle persone non è semplice, si finisce per ritrovarcisi dentro senza nessuna protezione e ci si può perdere. È ciò che gli accade con Elba: la prende sotto la sua protezione dopo averla avuta come paziente, dopo aver compreso la sua storia – finendo per proiettare in lei ciò che i suoi figli non gli hanno dato, finendo per amarla come parte della famiglia ma essendo consapevole che quello è un legame diverso, forse più profondo, forse un legame che scavalca ogni convenzione. Meraviglia finisce per amare da lontano proprio la sua stessa famiglia: incapace di raggiungerli dove loro vorrebbero essere amati, pian piano tutti vanno per la propria strada lontano da lui, puntando il dito contro quella sua filosofia di vita del non proiettare. È così che lo incontriamo, il romanzo è diviso in due spezzoni temporali: 1982-1990 con la crescita di Elba e 2019 con la vecchiaia di Meraviglia. Un uomo anziano che vuole farla finita con la vita, come un fiore che ha perso tutti i suoi petali. Ma non tutto è sparito, alcune cose forse stanno solo fiorendo.

La battaglia per la chiusura dei manicomi viene vista sotto ottiche differenti all’interno del romanzo. Quando viene approvata la legge 180 che decreta la chiusura dei manicomi e l’apertura di centri di salute mentale nel mezzomondo ci sono due poli opposti. Da una parte c’è Meraviglia che la sostiene; dall’altra c’è Colavolpe, il direttore del manicomio, che la disprezza – pensiero condiviso anche da alcune infermiere, secondo cui l’elettroshock dovrebbe continuare ad essere usato per curare i disturbi e come punizione corporale. Quando la legge venne finalmente approvata e Colavolpe sparì, Elba riuscì a scoprire documenti privati sui motivi di internamento di pazienti donne che subirono diagnosi frettolose pur di essere allontanate dal mondo. Donne internate per adulterio, per poco senso dell’onore, per essere state definite lunatiche, mascoline, esibizioniste: Elba scriverà la tesi di laurea sulla ricerca di queste pazienti, per restituire la dignità laddove fu tolta.

Un romanzo pieno di tenerezza e forza, amore e mai odio, desiderio di comprendere e di fuggire dai luoghi che hanno fatto male, sui legami, sulla famiglia, sul rispetto e sulla forza della vita. Una grande meraviglia davvero.