Vincenzo Latronico / I tempi (verbali) della vita

Vincenzo Latronico, Le perfezioni, Bompiani, pp. 140, euro 16,00 stampa, euro 9,99 epub

Vincenzo Latronico, scrittore e traduttore italiano espatriato a Berlino, classe 1984, torna in libreria con Le perfezioni, un romanzo breve sulla coppia, sull’ingresso nell’età adulta, sulla scelta di vivere in un altro Paese, sulla distanza tra l’immagine che proiettiamo di noi e la vita, quella che ci è data da vivere ogni giorno. È questo il nodo centrale nonché l’incipit dell’opera, che si apre su una carrellata di immagini che descrivono una casa giovane, accogliente, cool quanto basta per lasciare intuire lo spirito creativo dei proprietari e renderli al contempo raffinati e accessibili: un mix perfetto di nuove tendenze abitative e calore umano. Ovvero, quanto serve per affittare con ragguardevole rendimento economico un appartamento a Berlino su siti per locazioni brevi.

L’appartamento, con il bovindo e le piante, con le mensole della cucina a vista e il giradischi per i vinili, è di Anna e Tom, creativi freelance che hanno deciso di abbandonare la comfort zone della loro città d’origine, con le famiglie e gli amici di sempre, con la prospettiva di un lavoro sicuro e con i pranzi della domenica, per lanciarsi in un’avventura internazionale, tanto priva di certezze quanto ricca di stimoli, e lo subaffittano quando tornano in patria per le vacanze. Le immagini della casa, le immagini dei loro lavori o dei viaggi o delle serate pubblicate sui social riflettono una vita spesa tra interessi culturali e divertimento, luccicante senza essere pacchianamente abbagliante, una vita da invidiare.

Tuttavia, “non sempre la realtà era fedele alle immagini”. Con questa frase si apre il secondo, più lungo capitolo del libro, intitolato “imperfetto”, come il tempo verbale in cui sono declinati tutti i verbi che lo compongono; capitolo che segue il “presente” che descriveva le immagini della casa berlinese, e che precede il “remoto” dell’azione e del cambiamento, oltre che il “futuro” delle novità e delle promesse. La scelta di attribuire a ogni capitolo il nome del tempo verbale in cui è narrata l’azione non è solo un espediente linguistico accattivante, ma si inserisce nel substrato profondo del significato dell’opera, che riflette in senso lato sulla corrispondenza tra essere e apparire, in un gioco di specchi e di rimandi che dalla coppia passa alle immagini da cui siamo – attratti e respinti – costantemente bombardati. Inevitabilmente, trattandosi qui di immagini raccontate, fa pensare anche al senso dell’opera letteraria nella società contemporanea, tra stimoli costanti e attenzione precaria, dove presente, passato (remoto) e futuro sono i tempi corti dell’apparire e del nascondere a beneficio di spettatori immaginari, mentre solo nella dilatazione temporale dell’imperfetto possiamo trovare lo spazio accogliente di una realtà che, se pur non sempre “fedele alle immagini”, è tuttavia percepita come autentica.

La domanda sull’autenticità della loro vita accompagna Anna e Tom per tutto il romanzo: si sentono impostori nel decantare le meraviglie della Sicilia o di Lisbona quando si trovano in verità ad affrontare momenti di sconforto lavorativo o personale, ma non pensano mai di porsi diversamente nei confronti degli altri. La loro coppia è un’unità indissolubile di cui non dubitano mai, e per tutta l’opera non conosceremo mai i pensieri o i turbamenti di Anna disgiunti da quelli di Tom, o viceversa. Anna e Tom, Tom e Anna, sono per il lettore un unicum caratterizzato dalle differenze che, nel corso degli anni, i due giovani hanno affinato – dalla scelta dell’arredamento al cibo vegetariano, dalla musica alle mete dei loro viaggi – per cercare di assomigliare sempre di più a chi volevano essere, o meglio all’immagine di sé che volevano proiettare nel mondo. Quando finalmente quell’immagine non avrebbe avuto più bisogno di ritocchi, quando non avrebbero più dovuto nascondere i fazzoletti dall’inquadratura del salotto, allora avrebbero finalmente saputo chi erano. Sarebbero diventati adulti. Sarebbero stati felici? Dopo il tempo del futuro, in un finale dal sapore agrodolce, Latronico lascia sapientemente aperta la porta a un nuovo, possibile, imperfetto.