Libro d’esordio di Veronica Tomassini (uscito nel 2010 per Laurana), caso letterario oggi ripubblicato dalla Nave di Teseo per dimostrarne la tenuta narrativa e, perché no, sociale. La scrittrice, siciliana di origini umbre e abruzzesi possiede un linguaggio balzato oltre l’italiano consegnatoci da Pavese e Vittorini con il fiancheggiamento energico e disperatamente inattuale di Pasolini. Romanzo? Non è di questo che si tratta, ma piuttosto del poema risorto sulle ceneri di un’esperienza isolana, là dove vivono polacchi emigrati in questa Siracusa che appartiene a una cerchia di vere capitali del Sud. Sangue di cane non ruba niente all’invenzione, se mai rischia qualcosa per troppa verità, e quando un poema della strada, del mondo, s’imbeve di verità, la questione della vita si fa dura ma anche sfolgorante. Il suo significato viene sbrindellato fin quasi ai limiti del sopportabile, e qui non si tratta di possedere la realtà, ma di scaraventarla fin dove ustiona, visto che prima di ogni cosa le strinature sono interamente dentro la storia.
Amore e baci, prostituzione spinta e brutto alcol per “organi caldi” che sanno come ficcarsi in bocca e negli occhi tutto il bene estratto dal fango. Sangue di cane è un lungo poema che potrebbe anche fare a meno della punteggiatura, vi sfilano corpi sull’orlo della catastrofe e la catastrofe si mangia piegati in due con i panini. Che senso ha definirlo una storia d’amore fra una ragazza che guida la nuova macchina pagata a rate e il polacco Sławek, semaforista innamorato violento e alcolizzato? Nessun senso, il libro bisogna portarselo nei luoghi reconditi delle nostre case evitando di interrompersi a ogni squillo del cellulare. Serve anche qualcosa di più del coraggio speso a bere un paio di birre nella fascia di rispetto di queste storie incrociate, dove si percepisce la supplica dell’autrice dentro i giorni sbattuti in faccia agli eventi e poi nel bianco fosforescente di un monitor.
I suoi pensieri polacchi diventano l’urlo afferrato dai compagni di esperienza e poca innocenza, e soltanto dopo da noi miserabili lettori di scarsa consapevolezza. Negli universi stratificati di Siracusa ogni sorta di linguaggio è raggiunta dalle pagine scritte da Tomassini in tutte le specie di tempo da lei sapute: di vita di morte di nascite interrotte o mal riuscite, di salvezze inseguite a perdifiato e giuramenti incisi dove l’alcol e l’amore tengono in una morsa qualunque pietà bussi alla porta. “Sangue d’un cane”, bisogna saper aprire. A Veronica crediamo le sia toccato aprire.