È l’antefatto di Stalingrado e di Vita e destino: Il popolo è immortale di Vasilij Grossman è ancora un “romanzo sovietico”, la cronistoria – in epico respiro – dell’avanzata dei tedeschi e del retrocedere dei russi nel 1941. Uscito a puntate su “Krasnaja zvezda” (il più importante giornale militare dell’Unione Sovietica) nell’estate del ’42 e poi in volume nel ’45, il romanzo – «Il popolo è immortale, la sua causa è immortale. Ma non si può risarcire la perdita di un uomo!» – in questa nuova edizione presenta stralci inediti recuperati dalle versioni dattiloscritte. Come si pone il testo in rapporto dialettico con i due successivi? Se Stalingrado è una commemorazione ai caduti in guerra e Vita e destino offre una riflessione morale sullo spettro coercitivo della violenza, Il popolo è immortale sembra – secondo Robert Chandler e Julija Volochova – «il contributo di Grossman all’impegno bellico sovietico, un romanzo che risponde a due esigenze solo in apparenza contrastanti: da un lato sono pagine ottimiste e intese a infondere coraggio, dall’altro non ignorano difficoltà e contraddizioni». Al di là delle intenzioni di fondo, la mano dello scrittore è riconoscibile e piena: la crudezza delle scene, l’espressività delle descrizioni («le scie rosse dei proiettili traccianti che strisciavano lente verso le stelle»), lo splendore della natura, l’incisività dei personaggi.
Grossman, audace ed eterodosso, non lesina critiche alle condotte militari russe: lavora sempre ai margini del lecito e, di fatto, impone coraggiosamente la sua visione delle cose. «Invece il mondo tremava sotto i colpi di una guerra che si insinuava fra i terreni arati, si scioglieva nell’acqua, si alzava a diecimila metri sopra la terra, infuriava nei boschi, nei campi, sugli stagni silenziosi ricoperti di foglioline di lemna». E, nonostante tutto questo, «la morte non vincerà».