Vampiri d’Islanda

Bram Stoker, Valdimar Ásmundsson, I poteri delle tenebre. Dracula: il manoscritto ritrovato, tr.. di Maura Parolini e Matteo Curtoni, Carbonio 2019, pp. 296, euro 16,00 stampa

di ALESSANDRO FAMBRINI

Un libro per maniaci: lo sono, lo siamo in molti tra gli appassionati del fantastico e di Dracula in particolare. Ma in questo caso il termine è davvero appropriato. Abbiamo un romanzo che dovrebbe essere la traduzione islandese, uscita a puntate sulla rivista Fjallkonan dal 13 gennaio 1900 al 20 marzo 1901 e poi pubblicata in volume nel 1901, del Dracula di Stoker del 1897: un’opera sfuggita ai più, a causa dell’esotica inaccessibilità della lingua islandese, e che il curatore di questo volume recupera dopo ardimentose ricerche, per accorgersi che quella di Makt Myrkanna, ovvero I poteri delle tenebre, è una storia simile all’originale, eppure profondamente diversa: per dare a lui la parola, “per chi conosce l’opera di Stoker, Makt Myrkanna riserva alcune grosse sorprese. La più evidente è che il racconto del viaggio di Harker in Transilvania, che in Dracula consta di circa 22.700 parole, in Makt Myrkanna arriva a circa 37.200 – il che significa un incremento del 63 percento. Il resto della storia, d’altro canto, scende da 137.860 parole a sole 9.100, ovvero una riduzione del 93 percento”.

In altre parole: ci troviamo di fronte a un libro profondamente diverso. E poco importa, in fondo, se ciò sia dovuto agli interventi del traduttore (o riscrittore) islandese Valdimar Ásmundsson, vivace figura di cronista e letterato vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, o non piuttosto – come sembrano credere i curatori di questo volume e come sembrerebbero indicare alcuni indizi sparsi qua e là nel romanzo – allo stesso Stoker, con una versione transitoria di Dracula andata in seguito perduta e misteriosamente approdata nel Nordeuropa. Ma non è tutto qui: altre indagini, puntigliosamente ricostruite nelle oltre settanta pagine di introduzione, portano all’ulteriore rivelazione che la versione islandese è passata avventurosamente attraverso una precedente edizione svedese, uscita a puntate sulle riviste Dagen e Aftonbladets Halfvvecko-upplaga a partire dal giugno 1899. Brividi distopici attraversano il lettore, che si trova a leggere una vicenda a lui nota, ma con personaggi in parte nuovi e diversi, con scene che si aggiungono e altre che mancano, con episodi che si accorciano o si dilatano, e che alla fine lasciano il senso di una strana discesa attraverso uno specchio simile a quello di Alice.

L’edizione italiana si basa sulla traduzione inglese, curata con profondo senso di dedizione e quasi con vocazione religiosa da un team di ventuno (!) collaboratori, guidata da Hans C. de Roos, da molti anni ricercatore pressoché esclusivo su Dracula e su Bram Stoker (e il pronipote di Stoker, Dacre Stoker, firma la prefazione a questo volume). Il corpus formato da prefazione (di Dacre Stoker), introduzione di de Roos (con immagini varie, la mappa di Reykjavik nel 1915 con indicate in didascalia la tipografia e l’abitazione di Valdimar Ásmundsson, oltre ai luoghi di interesse generale, e perfino una pianta del Castello di Dracula ricostruita sulla base delle indicazioni topografiche del romanzo), postfazione di John Edgar Browning, note (ben 423) e appendici varie, copre quasi la metà del volume e fa letteralmente venire le vertigini. Così come il romanzo, ma questa non è una novità.

Ci si chiede alla fine, tuttavia, perché sia stata preferita l’edizione islandese a quella svedese dalla quale, come dimostra in modo incontrovertibile il curatore, il testo islandese discende. E anche perché il testo svedese – scritto cioè in una lingua di circolazione infinitamente maggiore rispetto all’islandese – sia rimasto così a lungo nell’ombra. Ma quando si parla di Dracula, forse le ombre dobbiamo accettarle, e anzi accoglierle con gratitudine.