Utopie marziane

Kim Stanley Robinson, I marziani, tr. Ivan Pagliaro, Fanucci, pp. 368, euro 17,00 stampa, euro 9,99 epub

Con I marziani (1999), singolare spin-off della trilogia marziana di Kim Stanley Robinson, Fanucci completa l’opera meritoria iniziata quattro anni fa con la ripubblicazione de Il rosso di Marte (Red Mars, 1993), l’unico apparso a suo tempo per Mondadori nella traduzione Maurizio Carità, e pubblicando Il verde di Marte (Green Mars (1994) e Il blu di Marte (Blue Mars, 1996) nella traduzione di Annarita Guarnieri). La trilogia di Marte, in grado di mietere due Premi Hugo, un Nebula e tre Locus, è oggi considerata uno dei grandi cicli della fantascienza, paragonabile alle Fondazioni di Isaac Asimov, per il rilievo delle tematiche socio-politiche, e a Dune di Frank Herbert, per la granularità del world building. Malgrado i numerosi riconoscimenti, compreso un saggio seminale dedicatogli da Fredric Jameson (relatore della sua tesi di dottorato su Philip K. Dick alla UCLA), la stella di Stanley Robinson non ha mai particolarmente brillato dalle nostre parti, oscurata prima dall’ondata cyberpunk degli anni Ottanta e Novanta (William Gibson e Bruce Sterling in primis), poi dagli autori postmodern del metagenere fantascientifico (Jeff VanderMeer, China Mieville, Charles Stross, etc.). Per KSR, autore innovativo e prolifico, oggi ascoltatissimo anche per la lettura della crisi climatica e della vita oltre il neoliberismo che emerge dai suoi romanzi (si veda, per esempio, il recente New York 2140, 2017, pubblicato da Fanucci nel 2017), verrebbe quindi da dire: se non ora quando?

La trilogia, poi tetralogia, marziana prende le mosse da una classica ipotesi di colonizzazione: il nucleo originale dei primi coloni (“I cento”) sono una comunità di scienziati di ogni nazionalità, ancora a prevalenza statunitense e russa, approdati sotto l’egida delle Nazioni Unite più o meno nei tempi preconizzati da un Elon Musk, cioè tra pochissimi anni da oggi. Con un espediente letterario in fondo banale – una cura anti-invecchiamento in stile Kurzweil – i membri della missione potranno vivere oltre duecento anni. Così John, la leggenda vivente, Frank, il politico, Arkady l’anarchico (pronipote del Bogdanov di Stella Rossa), Ann, la ninja ambientalista, Sax, “l’ingegnere capo”, Hiroko, lo spirito guida della nuova biosfera, Nadia, lo spirito della resistenza, Maya, la first lady di se stessa, Coyote, il primo clandestino, Michel, lo psicologo della missione, figure fortemente iconiche e conflittuali che cozzando si alternano nella narrazione, restando a lungo protagonisti o almeno, testimoni della vicenda principale.

Attraverso di loro – e a nuovi personaggi come Nirgal, figlio di Hiroko o Art Randolph, il terrestre convertito alla resistenza – assistiamo al succedersi di ondate migratorie di disperati terrestri che ingrossano le fila della popolazione marziana, dando vita a nuove città e a enclave arabe, curde, svizzere, fino a un sostanziale melting pot; a due sanguinose rivolte contro l’Autorità Transizionale e le multinazionali terrestri che facendosi scudo dei decrepiti e impoveriti stati nazione combattono la diaspora di Marte, che alla fine emergerà come realtà semi-utopica e semi-indipendente; ma, soprattutto, al graduale terraforming del pianeta, trasformato nell’arco di poche generazioni da incontaminato deserto rosso a paradiso per biodesigner, da pianeta ghiacciato a sfera bagnata da mari e laghi, datata persino di una precaria atmosfera. Su Marte i “verdi” sono in realtà i “rossi”, difensori dell’equilibrio originario del pianeta, fermamente contrari al terraforming e ai “verdi” che identificano la creazione di una nuova biosfera come interesse di specie, al di sopra di qualsiasi interesse individuale. È il conflitto tra nuda “terra” e “mondo” antropizzato. Ma è solo uno dei numerosi conflitti che Kim Stanley Robinson mette in scena nel labirinto marziano, dove la proprietà privata e il patriarcato sono comunque scomparsi da tempo, sempre più simile a un esperimento socio-politico su scala planetaria, allestito senza economia di mezzi linguistici e di discussioni scientifiche hard (i protagonisti sono tutti, chi più chi meno, scienziati).

Come ha osservato Jameson, al di là del rosso, del verde e del blu, “il nome di questo colore innominabile è Utopia (…). Questo è lo spirito giusto per valutare le varie ‘soluzioni’ politiche della Trilogia di Marte: che siano numerose, contraddittorie o perfino inconciliabili è, secondo me, un vantaggio e un successo in un’utopia contemporanea che, come ha indicato Darko Suvin, deve anche mettere in scena un dibattito implicito con le obiezioni e i pregiudizi, ideologici e politici, dei suoi lettori”.

I Marziani sono altre storie nella storia principale, storie sotterranee captate dalla quotidianità dei protagonisti della saga. Oltre a racconti inediti KSR ha usato anche materiali spuri: ballate e poesie; la Costituzione di Marte con un commentario; articoli di rivista e abstract di biologia e geologia marziana. Rispetto alla Trilogia, I Marziani può ricordare film found footage come Cloverfield o Diary of the Dead accanto a un film di genere “normale”.

Tra le short stories dell’antologia spicca il ciclo imperniato attorno a Verde di Marte (Green Mars), un racconto lungo omonimo del secondo romanzo, scritto da KSR nel 1986. È la storia di una scalata a un vulcano “grande quanto un continente” che porta due vecchi augmented a incontrarsi nuovamente: Roger, un ex “rosso” nostalgico del pianeta inospitale, che si sente sconfitto dalla storia, e Eileen, la guida, che due secoli fa, a ruoli invertiti, si infilò nella sua tenda. Anche nel futuro marziano però non esistono pranzi completamente gratis e il prezzo della vita prolungata è infatti il graduale deterioramento della memoria, solo Roger, per capriccio, maledizione o benedizione della sorte pare esserne immune, conservando un ricordo intatto della sua esistenza. In pratica lui ricorda lei che non ricorda lui.

A questo breve ciclo marziano, che si discosta per alcuni aspetti della terraformazione dal canone dei romanzi, appartengono anche “Il canyon dei fossili” (1982) e “Una storia d’amore marziana” (1999),

“Quando ho concluso Il blu di Marte, ho compreso che non avevo ancora finito con Marte”, è la versione di KSR. “Ho deciso, allora, di riunire in un’antologia questi racconti marziani e, mentre li mettevo in ordine cronologico, ho notato che andavano ad accrescere la storia principale, fungendo da ‘inconscio’ o ‘storia segreta’ della trilogia. Mi sono divertito molto a creare queste storie e spero che completino la mia versione delle Cronache marziane”.