Il traduttore di questo romanzo, Nicola Manuppelli, ha il grande merito di aver portato in Italia uno dei migliori scrittori di racconti, quell’Andre Dubus che ha tradotto per Mattioli 1885.
Sembrerebbe, ora, che sia riuscito a scovare un’altra perla della letteratura americana: Don Robertson. Quest’ultimo ha avuto una vita complicata, piena di malattie che negli ultimi anni della sua vita lo hanno costretto, come Dubus, su una sedia a rotelle. Sconosciuto al pubblico italiano fino a ieri, Nutrimenti pubblica un suo secondo romanzo: dopo L’uomo autentico, che certamente andrò a leggermi, è la volta de L’ultima stagione, un tomo di 615 pagine che filano via senza intoppi, senza cali di ritmo nella narrazione e con un’omogeneità stilistica che ha dello straordinario.
Di romanzi sull’uscita di scena, sull’ultima parte della vita di coppie o persone solitarie ce ne sono molti: quasi tutti i più famosi scrittori l’hanno affrontata con diverse sensibilità e prospettive differenti, dando ognuno un’impronta personale. Non si tratta di comprendere il senso di una vita ma di mettere in scena una narrazione che provochi nel lettore lo stimolo di ripensare, di cogliere particolari solo apparentemente insignificanti.
Gli Amberson sono una coppia sposata da più di cinquanta anni. Anne ha 72 anni, ha subìto una mastectomia che non ha risolto il suo tumore e soffre di dolori che aumentano giorno dopo giorno. Howard ha due anni più di lei, ha avuto due attacchi cardiaci ed è stato insegnante di liceo e allenatore di atletica. Hanno sempre vissuto a Paradise Falls, una piccola cittadina della provincia, e la loro esistenza è stata funestata dalla perdita dei due figli maschi: solo Florence, la femmina ultima nata, è ancora in vita. Lo smisurato amore che ognuno prova per l’altro ha permesso loro di superare dolori e complicazioni: un sentimento così forte che ha attraversato momenti in cui molti altri rapporti sarebbero stati distrutti. Howard ha qualcosa da rimproverarsi, ma le sue debolezze non sono mai state dettate dalla mancanza di amore verso la moglie.
A un certo punto Howard decide di partire, di vedere cosa c’è oltre Paradise Falls, di rendersi conto se esiste una struttura che dia un significato alla vita. Alla loro vita. Non ha una meta precisa, dice alla moglie che devono partire e caricano il gatto nella loro vecchia macchina. Lui tiene un diario, di nascosto della moglie, che si porta dietro e scrive mentre lei dorme. Allo scopo di comprendere meglio la sua esistenza, confessa le sue debolezze, ripercorre le tappe salienti del loro percorso sentimentale, racconta il loro rapporto con i figli, gli amici e i parenti. Il viaggio sarà l’occasione per saldare i conti con vecchie conoscenze e di fare nuovi incontri che chiuderanno il cerchio delle loro esistenze.
Uno spaccato della provincia americana dagli inizi del secolo scorso fino al periodo dell’ambientazione del romanzo (pubblicato nel 1974), gli inizi degli anni settanta, dove l’autore scava a fondo nella psicologia dei personaggi, nei loro dubbi e paure, nei loro errori e rimorsi. Ma soprattutto parla dell’amore incondizionato, per la moglie e per i figli, che non sarà mai scalfito da debolezze veniali o sbagli involontari.
La scrittura di Robertson è evocativa, resa lineare da uno stile essenziale e pulito, da un linguaggio apparentemente semplice ma profondo: raccontare dei sentimenti con semplicità, entrare nell’intimo del lettore con pochi tocchi è una prerogativa dei grandi scrittori. Come Don Robertson.