Stiamo vivendo un momento critico, in cui il Covid-19 si sta diffondendo a macchia d’olio nel mondo, mentre nel nostro paese la ripresa della Fase 2 è alle porte, lenta e graduale, anche nell’ambito della cultura. È il momento, quindi, di sfruttare il livello più alto dell’organizzazione sociale, l’eusocialità. Il termine, coniato nel 1966, vide la luce della chiarezza solo nel 1972, quando l’autore de Le origini profonde delle società umane le diede un significato più specifico. L’autore in questione è Edward Osborne Wilson, studioso e saggista che negli anni Settanta aveva dato vita alla sociobiologia, una materia a quell’epoca rigettata con molto scetticismo. Dopo le opere Formiche. Storia di una esplorazione scientifica (Adelphi, 1977), La società degli insetti (Einaudi, 1976) e Superorganismo (Adelphi, 2011), Wilson torna con Le origini profonde delle società umane, forse la sua opera più intima e profonda, che risponde a una domanda fondamentale: cosa siamo e che cosa ci ha resi quello che siamo?
Nel suo esame della storia evolutiva, Wilson mette a paragone le origini profonde delle società animali e di quella umana, come se tra queste analisi esistesse un filo invisibile, un legame imprescindibile. Come ci fa intendere l’autore, la chiave di tutto starebbe proprio nell’intreccio evolutivo che ha visto sorgere l’essere umano come più lo conosciamo. Inoltre, almeno diciassette specie (roditori e gamberi tra gli altri) hanno sviluppato società incentrate sulla cooperazione, la stessa strategia adoperata dalle prime tribù di ominidi e perpetrata nel tempo dall’uomo moderno. Aspetto significativo è certamente il fatto che Wilson segua la scia di Charles Darwin, che basò i suoi studi sulle scimmie antropomorfe, gettando le basi per una riflessione più dettagliata e scientifica del collegamento tra uomini e animali. Dunque non si tratta semplicemente di un susseguirsi di teorie, ma di un approfondimento di queste, che trascina il lettore nelle profondità dell’evoluzione, esemplificando la teoria che vede il comportamento umano un “perfezionamento” del comportamento “animale” primario degli ominidi. Wilson parte dagli insetti sociali, che dominano l’habitat degli invertebrati, che esistono da circa cento milioni di anni: basti pensare che le termiti emersero 220 milioni di anni fa o che 150 milioni di anni fa ci fu la comparsa delle prime formiche. È già da qualche anno che assistiamo all’allarme circa l’eventuale scomparsa degli insetti (di cui esempio lampante sono le api), evento che, qualora si verificasse, sarebbe catastrofico per il nostro sistema ecologico. Una domanda che, nel corso della narrazione, l’autore si pone e pone hai lettori anche in forma implicita, è come la specie umana sia diventata eusociale. Il biologo americano dedica ampio spazio a quest’ultimo punto e ci spiega che, in quanto Homo sapiens, noi apparteniamo al macrogruppo delle venticinque forme di ominidi comparse sulla Terra e, in particolar modo, essendoci da “solo” alcune centinaia di migliaia di anni, non abbiamo avuto il tempo di evolvere insieme con il resto della biosfera, il cui esempio sono, appunto, gli insetti, che popolavano il globo da molto prima di noi. Insomma, questo saggio è corollario di argomenti senza dubbio fondamentali per comprendere le origini delle società umane, anche se pecca nella stessa rigidità comune a molte opere di letteratura scientifica, che non si sforzano di adattarsi anche al lettore profano in materia, ma rimangono chiuse nel ventaglio dei soli lettori affini alla materia.