Il recensore allena l’eventuale buon carattere, a differenza del critico, legando arguzia e sensibilità a qualche traccia (per dirla alla Manganelli) di moralità, in un cocktail che, quando gli riesce (assai raramente), si ritrova fra le mani qualcosa di garbato e utile da rilasciare a riviste e lettori. Nella nostra attualità tutto è più difficile, il tempo si è talmente dilatato che le solenni piazze metafisiche fanno bella mostra di sé in cellulari e smart-TV irridendo la nostra incarognita e “tradizionale” ottusità, acutizzata dall’umiliante miopia.
Seguire alcune vie, decantare le parti migliori del pensiero, fa parte della ricerca di alcuni filosofi e insegnanti di filosofia, e allora approfittando delle turbe temporali (su cui i padri della psicanalisi avrebbero la loro da dire) si può andare a vedere in che modo, in un tempo molto lontano gli uomini erano diversi. Mauro Bonazzi è uno di questi: fra i numerosi saggi pubblicati, Creature di un sol giorno si sofferma sulla civiltà greca e su come questa indagava il valore della vita e lo “scandalo” della morte. Il “punto di attacco” è proprio il mistero di un evento che non riusciamo ad accettare, per Bonazzi l’azione e il pensiero, la politica e la poesia (e la filosofia) viaggiano fra complessità e opposizioni che il corso dei millenni storici non hanno affatto chiarito. Achille e Ulisse ancora ci affascinano, punzecchiando con i loro poteri muscolari e speculativi la nostra fragilità congenita. Ma dominare può essere patetico, soprattutto per creature effimere, “di un sol giorno” come gli umani, e la Grecia ancora oggi può rintracciarsi nei nostri geni psichici, inquieta e armoniosa, dionisiaca e olimpica. Lo sguardo diretto di Bonazzi sulle creature dimezzate che sono gli uomini, con la loro drammatica ricerca genitale per ovviare alla mancanza, oltrepassa quel che già Zeus, in origine, voleva garantire a ogni costo: la sopravvivenza della specie. Persone comuni e filosofi ora tremano, l’amore e Platone, Freud e Proust illustrano e s’ingarbugliano, noi stessi ci incateniamo all’altra cosa, all’altro mentre la vita inesorabilmente si spegne.
Capitolo dopo capitolo, il libro di Bonazzi conduce a queste battaglie quotidiane, comuni a tutti, e che possiamo ricondurre a Omero e ai suoi eroi sfidanti: lo sapevano Simone Weil e Rachel Bespaloff, alle prese con le orde hitleriane, cercando di spiegare quali risposte trovare ai misteri dell’esistenza attraverso Achille e l’idea di politica. Al dunque, che fine ha fatto la “vita felice”? E quanto la vita politica può influenzare, da Omero in poi, la felicità umana, apparentemente oggetto di un furto? Occorre credere che l’eroe sempre schierato, e non solo per l’ambito bottino, riesca a influenzare l’esistenza dei comuni mortali, cioè noi tutti? Certo, perché si muore tutti in ogni caso, e a ogni buon conto l’umana gloria non è inganno ma conseguenza dell’affrontare il nemico a viso aperto. E se il nemico è invisibile, adottando tutte le strategie necessarie. Il desiderio del corpo è accomunato a quello dell’onore, sottolinea Bonazzi, entrambi (desiderio e onore) già presenti nell’Iliade, il poema dell’ira di Achille. Da qui alla difesa della Vita activa di Hannah Arendt il passo è breve, e insomma l’agire politico dell’uomo per i greci era sicuramente uno dei prodotti di maggior peso. Non la fascinazione della forza, che l’ideologia nazista ha condotto al male assoluto e al disastro. Il travisamento criminale non ha capito quanto nell’Iliade sia ben chiaro il limite di quel valore, la competizione che diventa fasulla se mero eccesso d’eros. Tutti gli eroi muoiono, e resta assordante il silenzio che Omero ci ha fatto conoscere descrivendo la visita di Priamo nella tenda di Achille. Il fragore della guerra, cita Bonazzi da Bespaloff, inabissato nel silenzio assoluto. Dunque la fragilità, sogno o meno che sia stato, di ogni essere umano.
Poi arriva Ulisse, lo sappiamo, con il viaggio e il naufragio uniti al conto con i padri a cui nessuno può sfuggire, senza scomodare Freud e del quale i greci evidentemente non hanno avuto bisogno alcuno. Ma il discorso si fa difficile per il recensore, non del tutto certo di saper destreggiarsi nel labirinto di risposte degli antichi messo in campo da Bonazzi nel suo libro. Poeti e filosofi si affollano, dicono la loro, mentre lo sforzo dell’autore nell’elargire chiarezza (con qualche sobrio avvertimento) si fa via via più allettante e capace di veicolare concretezza alla portata di tutti. Alla fine è un viaggio che lascia le sue impronte. Di questo si tratta. Non vorremmo essere terroristi, ma nemmeno troppo aggraziati: meglio consentirsi una leggera faziosità al servizio di un filosofo quando spiega dolcemente cosa è la filosofia, mentre il suo sguardo è rivolto alla civiltà greca. E, con piglio deciso, fa voltare la nostra testa verso quell’oriente lì.