Guardare la realtà con gli occhi di tutti i giorni, il più delle volte è semplice, neppure si pensa a varcare uno dei confini più immediati e a portata di mano: che cos’è la realtà? Chi ha voglia e tempo di pensare a come possa esistere tutto quanto, noi stessi, e insomma l’universo delle cose? Pressoché nessuno. Se ne intuisce il motivo, la vertigine è a un passo, e la vita quotidiana per lo più è incapace di affrontare trip del genere. Molto più cool e distensivo (fino alla temibile anestesia psichica dei social) versarsi un goccio di whisky o ingollare una pasticca e altre intemperanze. Diverse attenzioni sono complicate. Così come complicata (ma quanto vitaminica per la mente) è la lettura di questa serie di lezioni, tenute da Searle nel giugno del 2015 presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Girona, in Catalogna. Il libro le raccoglie, a partire dalla revisione dell’autore, ancor prima di un’edizione inglese. A compendio delle lezioni, una scelta delle numerose domande e risposte che hanno seguito i singoli incontri.
La cura del volume è meritoria perché ottiene di evitare l’ingarbugliarsi delle nozioni messe in campo dal filosofo statunitense, la cui comprensione richiede uno sforzo intellettuale non indifferente, e basi scientifiche e filosofiche di livello universitario. Non certo per demerito di Searle, che sa avventurarsi fra le domande fondamentali a cui fisica e filosofia cercano di dare risposta. Le scienze, proprio perché umane, hanno il compito di spiegarci nel dettaglio quanto la “realtà umana” possa corrispondere alla realtà “dura” di base, quella che interazioni forti e deboli fanno esistere nei rispettivi campi di forza. La percezione e l’intenzionalità sono il supporto dei ragionamenti di Searle, e ogni suo sforzo riconduce alla volontà di conciliare (e riconciliare) la realtà umana come conseguenza della realtà di base. In altri termini, esistendo protoni ed elettroni è presumibile che dopo un po’ esisterà anche la nostra tazza di caffè mattutina. E anche le menzogne di certi politici.
Battute a parte, siamo certi che qui si ha a che fare con le bollicine adrenaliniche riguardanti la coscienza come fenomeno biologico o come fenomeno intrinseco della realtà cosmica. La tendenza odierna di avventurarsi in percorsi che di scientifico hanno ben poco è animata al limite della decenza, è noto, ed è per questo che opere come Il mistero della realtà devono assolutamente ritrovarsi in biblioteche scolastiche e private, allentando il timore della difficile comprensione. Qui si tratta di oggettività e soggettività. E Kant è a un passo. Possiamo conoscere le cose per come esse realmente sono? Difficile rispondere, e la fisica (dalla quantistica alla relatività) aiuta poco l’uomo della strada a darsi ragione di ciò in cui è immerso. A questo punto entra in campo la questione del linguaggio, e quanto sia determinante per la rappresentazione del mondo che l’umanità si vuole dare da quando esiste.
Il sistema filosofico di Searle trova qui ampio compimento, prende per mano coloro che si pongono al centro delle questioni di fondo, come l’eterna domanda sul libero arbitrio: profonda illusione o pienezza deterministica? Ora si comprende come addentrarsi in questo campo, quando la robotica incrocia il tema della coscienza e quando l’indeterminismo quantistico viene utilizzato anche nelle nostre lavatrici, ha una preponderanza etica di rilievo. La coscienza, proprietà globale del cervello, non sappiamo come funzioni. Ma un’idea di quel che può produrre, l’abbiamo. E qui Dirac, Heisenberg, Einstein, Wittgenstein, Asimov, Dick, si ritrovano tutti insieme per un’ultima colazione. O la prima, di un futuro passabilmente unificato.