Hamilton Basso era colpevolmente dimenticato in Italia, prima della meritoria edizione di La vista da Pompey’s Head. Nonostante il giro di frequentazioni, negli anni in cui Scott Fitzgerald spopolava e Thomas Wolfe era suo grande amico, e avesse pubblicato numerosi articoli su importanti magazine, la fortuna editoriale non gli allietava le giornate. Fino alla pubblicazione di questo romanzo, che abitò i piani alti delle classifiche statunitensi per moltissime settimane. Successo effimero, come ci spiega la puntuale nota di Nicola Manuppelli, altresì ottimo traduttore dell’opera. Quando Harper Lee dilagò col suo Il buio oltre la siepe (era il 1960) quasi nessuno si ricordava più di Basso. Nonostante gli stessi temi fossero stati affrontati in quasi tutti i romanzi dello scrittore di New Orleans.
Numerose le avventure esistenziali e editoriali di quest’uomo d’origini italiane e dunque colpito da inciviltà razziali nella New Orleans popolata da migliaia di europei. All’epoca gli italiani erano alquanto malvisti, colpa – si diceva – di un carattere rissoso e turbolento. Il cattolicesimo un po’ enfatico, per giunta, non li aiutava. L’infanzia di Hamilton certamente ebbe molta influenza sulla produzione letteraria dell’età matura. È interessante scoprire come le sue prime collaborazioni stavano al fianco di autori che, dapprima pressoché sconosciuti, diventarono stelle del modernismo: Djuna Barnes, William Faulkner, Robert Penn Warren e Ernest Hemingway. Transfugo a New York sentì presto gli effetti dello sradicamento e la pressante nostalgia per un Sud a tutti gli effetti considerato home, casa. I numerosi romanzi scritti e pubblicati, con qualche difficoltà, prima di View from Pompey’s Head, entrano nel giro del celeberrimo editor Maxwell Perkins, della Scribner’s, colui che assicurò il successo a Wolfe, Fitzgerald, Hemingway e molti altri. L’eleganza e la diplomazia di Perkins intessono gli anni in cui Basso lavora senza sosta fra un’ulcera e l’altra e gli slalom a cui è costretto dalle consuete diatribe fra scrittori amici e editore.
Fra difficoltà matrimoniali e amicizie che lasciano il segno (quella con Lilian Hellman, a esempio), gli anni scorrono con pubblicazioni di scarso successo. Nel 1954 finalmente La vista da Pompey’s Head diventa un best-seller istantaneo e l’anno seguente la 20th Century Fox propone al grande pubblico il film tratto dal romanzo, con la regia di Philip Dunne (specialista in drammi romantici) e attori belli e famosi come Richard Egan e Dana Winter. Gli stessi che vediamo nella fascinosa copertina del volume di Nutrimenti. Il ritorno al Sud di un avvocato, con lo scopo di indagare su questioni amministrative e finanziarie, è il tema dei temi che percorre l’intera esistenza di Basso, la sua biografia umana e letteraria.
Il mistero e le controversie amorose sono il tessuto che contraddistingue il viaggio nella memoria e nelle regole contradditorie di un paese stretto nella morsa del razzismo. I rischi e le situazioni proustiane, i motivi che trasformano intere esistenze, sono la strada maestra seguita dal romanzo con ostinata ricerca di cronaca e di storia. Lontano da sociologie manieriste, i fatti narrati da Basso si addensano in un romanzo che sembra non finire mai, così come il tempo si espande e si contrae a dispetto delle aspettative di coloro che vi si trovano immersi. Se Wallace Stegner, in anni più recenti, ha avuto l’ammirevole capacità di restituire il senso di un paesaggio americano incontaminato e esteso, Basso ha dato risonanza a una credibile recherche diffusa fra gli Stati. L’orizzonte è sempre lo stesso, i treni viaggiano seguendo infiniti confini, proprio come la mente dei protagonisti, uomini e donne, mentre si affrontano e forse si odiano almeno quanto si amano. Ancora una volta l’America del nord si affaccia all’immaginario europeo iniettando una nostalgia esotica ma capace di farci comprendere diversi tipi di charme mentale, che non hanno conseguenze nella nostra letteratura ma certamente le hanno nella visione del mondo che è stato.