La casa editrice romana Nutrimenti inaugura una nuova collana, “The Big Idea. Libri di base per il XXI secolo” che è la traduzione, con la medesima impaginazione (anche nell’edizione italiana i volumi contengono quasi 200 foto a colori ciascuno), di una serie apparsa in Gran Bretagna per l’editore Thames & Hudson. La collana è coordinata da Matthew Taylor, divulgatore scientifico alquanto conosciuto oltre Manica, ex segretario generale dell’Institute for Public Policy Research.
La filosofia delle pubblicazioni è esplicita: “una collana innovativa, divulgativa ed efficace per approfondire i temi più importanti del mondo contemporaneo e che hanno più risonanza nelle nostre vite”. Le prime tre uscite italiane sono dedicate alla catastrofe climatica, al veganesimo e al rapporto con la tecnologia.
Devo dire che a prima vista sono rimasto perplesso dalla modalità di approccio agli argomenti. Graficamente i volumi sono bellissimi, corredati da una quantità di immagini in tema, alcune anche piuttosto coraggiose (mi riferisco soprattutto al volume di Molly Watson). A instillarmi un piccolo dubbio – subito evaporato devo aggiungere – è la premessa contenuta nella seconda di copertina di ogni libro: “La grandezza del carattere indica la gerarchia di priorità dei vari paragrafi: a dimensione maggiore corrisponde una maggiore importanza del concetto”. Si esplicita poi che la lettura dei testi con i due caratteri più grandi prende mezz’ora di tempo; un’ora per il testo nel suo insieme, escluse le parti più piccole (di solito approfondimenti di parole e termini usati nel testo); due ore per il libro intero, didascalie comprese. Il particolare più sconcertante è che il carattere più grande è davvero grande, come in un libro per bambini.
Va da sé che ho letto l’intero testo, e a questo punto i miei dubbi sono svaniti. Perché i volumi sono veramente ben fatti, senza concessioni a voga o tendenze del momento, e con un punto di vista ecumenico, che tenta di esporre anche il concetto opposto. A ogni modo, le autrici non cercano di mantenersi in un’impossibile equidistanza: le conclusioni sono politiche, anche fortemente politiche, movimenti come Fridays for Future e Extincion Rebellion vengono indicati come gruppi che fanno la cosa giusta.
La verità è politica, e la verità è che siamo già andati oltre l’ultimo momento utile per reagire. Non riusciremo mai a ripristinare l’equilibrio del pianeta, ma forse possiamo evitare lo scenario più fosco. Forse. Ma quale relazione c’è tra i due titoli pubblicati? Non c’è bisogno di leggere entrambi i volumi (e per i più attenti a ciò che succede, non ci sarebbe neppure bisogno di leggerne uno) per rendersi cono che la produzione alimentare ottenuta dagli animali è una delle più importanti cause di sfruttamento del pianeta. Tra le principali ragioni di disboscamento c’è la coltivazione di cereali per nutrire bovini, con quello che ne consegue: fertilizzanti chimici, impoverimento del suolo, e poi ci sono i danni da consumo di carne rossa, malattie cardiovascolari, tumori, ecc.
I libri hanno un’impostazione comune; sono divisi in quattro sezioni principali: un excursus storico del problema, in entrambi i casi dettagliato pur restando nell’ambito divulgativo; uno “stato dell’arte”, con ipotesi su come potrebbe evolvere la situazione; una sorta di sintesi, cioè la proiezione degli effetti di una soluzione o dell’altra; infine, un’ipotesi ottimista che immagina si siano prese decisioni drastiche – facili da individuare nel caso della minaccia ecologica/climatica, molto meno per il problema alimentare. Perché se la diminuzione delle emissioni di CO2 è un must, meno semplice sarebbe la conversione vegana dell’intera popolazione mondiale (che il volume, tra l’altro, neppure individua come risolutiva). L’eliminazione totale di proteine d’origine animale dalle nostre tavole comporterebbe una serie di conseguenze, non tutte auspicabili, a meno di non immaginare una consapevolezza totale e virtuosa dei consumatori. Se una drastica e rapida marcia indietro dei comportamenti è non solo eticamente desiderabile ma necessaria (necessaria!), il veganesimo ha alcune controindicazioni culturali. Tre sono infatti i motivi per i quali si può decidere di non nutrirsi più di prodotti animali: una ragione etica (“non voglio causare sofferenza”), una salutistica (“le proteine animali sono più nocive per l’organismo umano”) e una, infine, “ecologica”: l’allevamento intensivo causa uno sfruttamento non secondario delle risorse del pianeta, in un circolo vizioso di danno esponenziale a mano a mano che aumentano la popolazione della Terra e la richiesta di carne.
Ultima considerazione. I volumi sono corredati da una bibliografia d’approfondimento, da un indice analitico di nomi e termini, e dai crediti fotografici. Nel libro di Molly Watson, come ho detto sopra, appaiono alcune immagini piuttosto forti e decisamente efficaci, di Albert Gea (Reuters) e Andreu Dalmau, che comunicano più di tante parole.
La collana The Big Idea è uno strumento di divulgazione interessante e moderno, non partigiano ma chiaramente realista nelle conclusioni, e soprattutto lontano da qualsiasi sospetto di greenwashing.