Germano Lombardi / Una folla di quadretti

Germano Lombardi, Ciao. Fogli d’album, Il canneto editore, pp. 88, € 12,00 stampa

In via di Canneto il Lungo l’editore Il canneto (la tautologia dei nomi pedinata nelle mappe) fa apparire un diarietto di Germano Lombardi, ossia di China, ossia di Zevi, mentre Beatrix a lato sorseggia una malvasia veneziana aspra e fresca. Diario bifronte, simpaticamente comprensivo verso chi guarda e legge senza poi capire granché in questa allegra confusione di luoghi e persone. Perché Lombardi, da par suo, è stato China e Zevi e Beatrix in tutti i romanzi, personaggi ricorrenti, ombre e ambiguità che hanno alimentato il suo mestiere di scrittore. Un gran ragionare di parole che Lombardi ha spedito direttamente a chi gli ha dato amorevolmente corda, fin dai tempi del Gruppo ’63. Rivelandosi alla fine come l’unico vero narratore, in quel consesso, di personaggi e di luoghi, dispersi geograficamente allo stesso modo dello scrittore di Oneglia, di Parigi, di Trieste, di Venezia, e così via.

Ciao è un breve album del viaggiatore e un quaderno, detto Libro di lamenti, fatto di disegni rapidi e freschi come in una specie di riposo meridiano del pittore Schifano e ancora meglio del fratello d’avventura Hugo Pratt. Ciao rasenta i muri ruvidi dei vicoli di Genova e arriva in ogni luogo, alle spalle della città e fin dentro la laguna veneta. Dai brevi scritti, qui scelti, pubblicati su vari giornali nel corso degli anni come se fossero casualmente tirati fuori da un cassetto comprensivo e commosso dell’attenzione, fuoriescono personaggi mai più incontrati.

Una donna in tacchi a spillo e labbra rosse di rossetto pesca, sui moli di Trieste, a favore di gatti randagi. Per poi sparire a bordo di una Fiat Uno. Un Poe in competizione con Chandler sul modo di scrivere “a effetto” inseguendo i generi della letteratura popolare. Flaiano e Lombardi, nottambuli parigini negli anni ’60, avventurieri discordi del genere romanzo (“…le invenzioni rendono memorabili le notizie, non le bugie…”). La descrizione ornitologica del passero solitario (e si pensa subito a Recanati, sbagliando), uccelletto simile a un merlo più tozzo, mentre sorvola Capo Berta in Liguria e che finisce sulla terrazza solitaria del Residence della signora Irma. Lì si può stare (e noi per primi) in attesa di “piatti rosa e verdi, piccanti come il samba, il rock o la danza del ventre”.

Malamocco appare ancora esistente come isolotto di osteria, nella cronaca storica ultima spiaggia del maremoto del IX secolo, da dove gli abitanti partirono (come da Torcello) per fondare Rio Alto e poi Venezia. Di domenica appaiono l’affettuoso pesce fritto e il vino “più frizzante e fresco della laguna”. La figlia di Svevo, Letizia, parla di un Joyce “non molto normale” nella città onirica di Trieste, mentre il nostro Lombardi/China/Zevi dissimula avventure dentro alla bora leggera (“borin”) e gentile. E con certamente non trattenuta risolutezza infine butta lì l’idea di una Roma etrusca, “cioè zingara, cioè indiana del popolo Mahagi che arrivò qui quattromila anni prima che Fellini nascesse”. Poi chiudiamo l’impagabile libretto scoprendo “Germano chez lui” fotografato a Parigi, al tavolo da lavoro.

Sotto una folla di quadretti e una tenda trattenuta, su una sedia troppo piccola appare il meditatore ostinato di un’opera sola, unico racconto che non finisce e che forse attende ancora la riunione in un solo libro chiaro e perfetto, come “scritto in una sola notte”.

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