Una favola nuda e cruda

Marisa Silver, Piccolina, tr. Anna Mioni, Bompiani, pp. 320, €18,00 stampa €9,99 ebook

Come qualche volta mi succede, ho letto questo libro per caso. Forse. Dico forse perché, oltre le copertine e i titoli, a volte anche le presentazioni delle case editrici attirano la mia curiosità. Nonostante non ami troppo i romanzi allegorici e fiabeschi, nonostante non avessi mai sentito parlare di Marisa Silver, che oltre a scrivere fa la regista e vive col marito e due figli a Los Angeles, l’istinto mi ha consigliato di procurarmi Piccolina.
Siamo agli inizi del Novecento quando a una coppia di contadini, già avanti negli anni ma senza figli, nasce Pavla. Il parto è difficile, la bimba sembra non voler uscire dal grembo della madre Agata, e solo l’aiuto della vecchia levatrice del villaggio fa sì che nasca senza complicazioni. L’unico vero problema, in effetti, è il corpo tozzo della neonata che però ha un viso bellissimo. Agata non ha latte, e i genitori sono costretti ad affidarla a una balia che ha cresciuto diversi bimbi del paese. Lei è convinta che il suo latte farà diventare Pavla sana e robusta, ma al terzo mese rimane ancora piccola come uno scricciolo e la balia decide di non allattarla più. La bambina cresce d’età ma non di dimensioni e l’unico lavoro che riesce a fare è aiutare il padre nelle faccende di campagna, non volendo i genitori esporla al pubblico sarcasmo.

Da qui in poi l’autrice innesca una serie di vicende che portano la ragazza a vivere ai limiti della sopportazione: prima i genitori, con l’aiuto di presunti medici che si riveleranno più apprendisti stregoni, tentano di dare alla ragazza un’altezza che la liberi dal suo stato di nanismo. Trova poi lavoro in un circo, come attrazione per un pubblico che la dileggia per il suo aspetto, e dove con Danilo, un ragazzo con cui si esibisce, comincia a vivere uno strano rapporto. Ribrezzo e attrazione si confondono e si trasformano in un amore che i due non riusciranno mai a vivere.

La Silver mette molta carne al fuoco: la paura del diverso, il rifiuto della deformità, la condizione della donna, la prevaricazione sui più deboli, la superstizione, la paura del giudizio degli altri, l’ignoranza che si fa ipocrisia e crudeltà, le metamorfosi cui ci obbliga il pensiero comune, l’amore, in tutte le sue forme, come sola forma di redenzione.
La scrittrice americana non usa mai toni apocalittici e non dà mai giudizi definitivi. È la provocazione, la sua arma letteraria, che porta avanti con uno stile asciutto, a volte onirico, con una storia fiabesca scritta con crudezza, con passaggi allegorici che non sono mai orpelli estetici. Una favola tradizionale che gli strumenti dell’autrice americana rende moderna e, soprattutto, attuale, ambientata in un mondo dove la protagonista, Pavla, da vittima si trasforma in carnefice per poi rientrare nel ruolo di vittima. Ma non finisce qui: il finale, aperto, non ci svelerà il destino definitivo della protagonista ma aprirà squarci sulle nostre esistenze.

http://www.bompiani.it/