Un semaforo verde per Matthew McConaughey

Quando diciamo “libro” bisogna intendersi. Quello di Matthew McConaughey non è un qualsiasi biopic il cui unico scopo, più o meno dichiarato,  è di atterrare al più presto tra le mani di un produttore e di portare a casa i sospirati diritti  cinematografici. No, questo libro che  ha regalato delizie alla platea sconfinata del suo fandom, ha risalito semmai come un salmone la china inversa: da Hollywood ad Amazon, dalla montagna a Maometto. E, sorprendentemente, messo d’accordo Pubblico e Critica, Moltitudini e Leviatano: parliamo di oltre due milioni di copie vendute finora nel mercato anglosassone, per un titolo in testa alla classifica del New York Times il Natale scorso e votato “libro dell’anno” 2020 da The Guardian.  Per non parlare dell’interminabile,  massacrante tour promozionale a cui l’infaticabile protagonista di True Detective S1 si è sottoposto, saturando il web con interviste come questa. Sarà che l’evento era già scritto nelle stelle, o almeno intuitivamente contemplato,  se è vero che già nel lontano 1989, un McConaughey ventenne e sconosciuto lo annunciava già al mondo in pochi versi: “I think I’ll write a book. / A word about my life / I wonder who would give a damn / About the pleasures and the strife?”  [1] 



“La natura ti dà la faccia che hai a vent’anni; è compito tuo meritarti quella che avrai a cinquant’anni” disse una volta Coco Chanel. La barba incolta, le mani giunte, lo sguardo assorto: il bel primo piano di Matthew McConaughey campeggia integralmente sulla copertina di Greenlights. L’arte di correre in discesahts (Baldini+Castoldi, 2021)  inverando appieno le sagge parole di Coco. Già, perché, natura a parte, quella faccia l’attore hollywoodiano pare essersela coltivata fin dalla giovinezza, stando a quanto si evince dal racconto dei suoi primi cinquant’anni. Celebrati con un libro che, puntualizza da subito l’esordiente scrittore, “non è un’autobiografia tradizionale (…) nemmeno un libro di consigli” bensì “un libro di metodo (…) di strategie (…) di storie di cui sono stato testimone e che ho vissuto in prima persona”.

Cose preziose, lezioni di vita, ricordi di viaggi, di cinema e tant’altro ancora, tutto annotato nei diari di Matthew e nei suoi cosiddetti “adesivi da paraurti” – promemoria, aforismi, poesie – abbastanza da stare dentro una valigia e portarsela fin nel deserto: lì, “nel più completo isolamento ho cominciato a scrivere il libro che ora stringete tra le mani (…) la mia lettera di presentazione lungo la via verso il mio elogio funebre”. Certo, un po’ scomodo il deserto, ma per chi ha trascorso infanzia e adolescenza nel Texas orientale è pressoché naturale e in quelle lande sconfinate conflitto e misticismo van di pari passo, come insegnava la serie tv Kung Fu. Lì il monaco shaolin Kwai Chang Caine/David Carradine andava alla ricerca del fratello, cinquant’anni dopo Matthew va alla ricerca di se stesso. 

Prima di addentrarsi in questa illustrata bizzarra autobiografia, una delucidazione è d’obbligo riguardo al titolo: “i greenlights, i semafori verdi significano vai, procedi, continua (…) Nella vita sono una conferma del nostro percorso (…) Progetti e forza di volontà”. Attenzione! Spesso appaiono mascherati da semafori rossi o gialli: sta a noi trasformarli in semafori verdi, con tempismo, perseveranza, impegno. Va da sé che di greenlights Matthew ne ha collezionati parecchi. In primis praticando un “audace esistenzialismo” insegnatogli dalla madre, in secundis adottando fedelmente la “mentalità del fuorilegge” di stampo paterno. Da buon operaio del Sud di origini irlandesi papà McConaughey, infatti, coltiva sani e sacrosanti valori (Dio, patria e famiglia), rispetta le regole pur non disdegnando, in puro stile Hazzard, di trasgredirle e non risparmia ai tre figli maschi quei riti di passaggio – virili scazzottate o prove di abilità varie, tipo la pipì più alta… – necessari a farne veri uomini.

Una bildung prettamente texana. Forse atipica se a vent’anni vuoi diventare avvocato, perfetta se opti per la settima arte. Actor senza Studio, il giovane Matthew bigia le lezioni, dirige brevi cortometraggi, serve drink in un locale per neri, compare in due film a basso budget: la solita gavetta, insomma, ma quando la fama lo travolge nel 1995, con Il momento di uccidere, la next big thing di Hollywood spiazza tutti. Semplicemente se ne va. Nel deserto del New Mexico. “(…) avevo pensato: un riallineamento spirituale è esattamente ciò di cui ho bisogno in questo momento (…) Non sapevo di chi fidarmi, compreso me stesso.” Complici i libri di Thomas Merton e Fratello Christian del Monastero di Cristo nel Deserto, Matthew abbandona gli agi della vita materiale e le tentazioni della celebrità: per tre settimane percorre la selvaggia Amazzonia, “il posto giusto” in cui ritrovare l’agognato benessere interiore.

Ma quella è solo la prima tappa del lungo (breve in verità) addio a Hollywood. A partire dal 1996, a bordo del suo van superattrezzato, Matthew batte “ogni sentiero dal Manitoba al Guatemala, passando per quarantotto dei quarantanove Stati americani raggiungibili in macchina”, inseguendo una wilderness costellata di strade sterrate e autostrade – recita uno dei capitoli di Greenlights – di  parcheggi per roulotte e umanità varia e, talvolta, se capita, qualche ruolo in film importanti. Quando torna a Austin, in Texas, nell’ottobre 1999 ha davanti a sé una promettente carriera, affatto macchiata dall’arresto per disturbo della quiete pubblica (il Nostro ama suonare i bonghi anche di notte) e possesso di 50 grammi di marijuana. Bazzecole, in confronto ai vizi leggendari delle star, spudoratamente sbandierati da Kenneth Anger in Hollywood Babilonia! Sennò come essere credibile nella pletora di commedie romantiche di cui diventerà testimonial per ben dieci anni?

“Sono bravo in ciò che amo, non amo tutto ciò in cui sono bravo.” Nella vita, come sul set, talvolta accade che spensierati maschi rubacuori sentano il bisogno di voltare pagina. Cambiare casa, sposarsi, avere dei figli. E, quando si ha interiorizzato l’arte di correre in discesa, fregarsene dello show business e aspettare. Greenlight? Forse un cul-de-sac. Che McConaissance/Mr. Consapevolezza – così ama definirsi – dal 2008 a oggi ha saggiamente affrontato, stella solitaria in un firmamento effimero, scegliendo ruoli complessi e antitetici, mortificando il corpo e quella faccia adorata dalle fan. Ma, soprattutto, abbracciando con rigore il proprio karma, un mix di virilismo (non machismo, precisa) e pragmatismo prettamente americani di cui questo libro rappresenta la summa. Manuale di self-help, ironico memoir di un “antropologo da divano” e, a quanto pare, per milioni di  lettori una vera fonte di ispirazione.

 

[1] Traduzione veloce:  Penso che scriverò un libro / Una parola sulla mia vita / Chissà a chi fregherebbe /Dei piaceri e delle lotte?