Breve eppure con una forza a tratti dirompente: così si presenta Poetiche ed estetiche in Italia. Da Dante al postmoderno, l’ultimo lavoro critico di Renato Barilli dedicato alla letteratura (Manni 2023). In 150 pagine lo studioso affronta con piglio sicuro, deciso alcune questioni che gli stanno a cuore e che in buona parte ha già espresso in lavori precedenti, per quanto taluni difficilmente reperibili. Come dire: in queste pagine ti dico quello che ho scoperto e imparato in quasi settant’anni di attività critica. Ne risulta un saggio su cui vale la pena di puntare per un carattere di saggezza e di impatto che, mi pare, trova pochi uguali. Nessun adito al critichese, nessuna esitazione in uno stile piano alla portata di tutti, addetti ai lavori e non, senza paura di fare graduatorie, di dire cosa è migliore o peggiore (il testo è molto utile anche per questo).
Per poetica intendiamo comunemente le dichiarazioni di un autore (in questo caso poeta e/o narratore) sul proprio lavoro, ma Barilli va oltre facendo propria la lezione del suo maestro Anceschi (“Cosa ho appreso da Anceschi” è intitolato un paragrafo): una poetica può esistere cristallizzata in un’opera, in attesa della bacchetta magica dell’interprete che le dia vita, che la risvegli al nostro sguardo. Ci sono frasi e versi che si accendono vibranti come pepite d’oro, spesso inaspettatamente e perfino inconsapevolmente per chi le ha scritte, ma proprio allora possono diventare un momento importante di verifica estetico filosofica (questa appunto parte della lezione migliore ricevuta da Anceschi). Molte sono così le citazioni dirette di cui Barilli si serve nel testo (pare quasi di vederlo tornato sui banchi di scuola, intento a ricordare versi imparati a memoria), e già la loro scelta, il capire quali hanno colpito lo studioso motivano l’acquisto del libro (ne viene insomma anche un autoritratto). L’estetica raccoglie invece le riflessioni teoriche generali sulle diverse forme di arte, ambito dunque pertinente alla filosofia. E studioso di filosofia Barilli lo è sempre stato, qui in fondo dialoga con coloro che lo hanno preceduto sulla stessa strada evidenziandone pregi e limiti (Croce, Anceschi, Galvano della Volpe e altri). Ma alla fine del libro il lettore ha anche la sensazione di avere conosciuto un Barilli a sua volta filosofo, le sue scelte critiche, le sue interpretazioni dei testi danno infatti alcune risposte sul valore di un’opera d’arte ma anche sul nostro vivere. Insomma, capire Leopardi, Pascoli, D’Annunzio, Svevo, il Gruppo 63 o Ammaniti è capire anche chi siamo, da dove veniamo, come dimostra anche il blog dello studioso, www.renatobarilli.it, con commenti settimanali di stretta attualità associati a interventi di critica letteraria e d’arte.
Ma ecco di seguito dieci punti che rendono il saggio particolarmente stimolante, verifica diretta delle premesse appena svolte. Primo. Dante teorico è stato poco amato nei secoli, inutile negarlo, il lirico Petrarca gli è stato di gran lunga preferito. Questo anche perché Dante da buon aristotelico ha dato preferenza alle arti del quadrivio, di contenuto, su quelle del trivio, retorica in primis, su cui l’aretino ha invece puntato rileggendo Agostino, imbevutosi a sua volta dell’Hortensius di Cicerone (è dedicato significativamente a Il convito il paragrafo con cui Barilli inizia la sua analisi). Secondo. È proprio l’uso della retorica, e non la ripresa dei classici, l’elemento più innovativo del nostro Umanesimo, iniziato da Petrarca e Boccaccio (che apprezzarono Dante meno di quanto comunemente si pensi). E qui Barilli gioca una delle sue carte più stimolanti e per lui significative, fin dalla sua tesi di dottorato su Fracastoro: la retorica come strumento principe anche dei nostri tempi (stimolata dall’utilizzo dei media elettronici). Da qui la necessità di andare a riscoprire chi ne avesse sottolineato l’importanza nella nostra letteratura. Terzo. L’etichetta di Rinascimento risulta completamente impropria, meglio preferirle quella di età moderna. Sono la stampa a caratteri mobili e la prospettiva scientifica a dare inizio a un’epoca veramente nuova a metà del Quattrocento, quando non a caso la retorica entra in declino e torna in auge l’aristotelismo grazie anche alla riscoperta della Poetica dello stagirita. Ed esse non rinascono ma vengono prodotte ex novo. D’altronde gli stessi poemi di Pulci, Boiardo e Ariosto sono semmai neomedievali. Ma anche altre etichette vengono riviste e approfondite (Barocco, Romanticismo, età contemporanea, postmoderno). Quarto. Rilancio critico, entusiasta di autori sottovalutati quali il Trissino o Federico Della Valle, ma il lettore potrà fare scoperte ‘appetitose’ anche per quanto riguarda molti narratori del nostro Ottocento. Quinto. Da buon retore egli stesso, che sa di dovere interessare il proprio lettore, Barilli inserisce nel testo cammei gustosi, come quello dell’ambasciatore di Francia in Palazzo Farnese che si lamentava, era l’epoca di Giordano Bruno, dell’odore forte di carne umana bruciata proveniente dal vicino Campo dei Fiori, tale da infastidire le sue narici. Sesto. Utile precisazione sul termine Barocco (lo anticipavo), ancora così vago. Esso indica sia un sillogismo contorto, cervellotico, sia una perla ammaccata. Nel primo caso ha dato la luce a forme brillanti di antimodernità, di antirazionalismo (da noi il teorico più noto è il Tesauro), con la proposta dell”ingegno, del wit, dell’agudeza e un rilancio ‘azzardato’ delle figure retoriche capaci di sollecitare il piacere, senza finalità conoscitive o morali; nel secondo caso abbiamo un’attenzione esasperata, difforme appunto, al dato sensoriale fino al ‘Sudate, o fuochi’ dell’Achillini, allievo di Marino. Settimo. Barilli prende posizione, fa dichiarazioni di poetica è il caso di dire. E così: 1) ’un abbraccio contestuale’ deve legare le finalità della poesia espresse nei classici docere, delectare, movere. Tutto insieme insomma, come già indicato da Fracastoro. 2) E inoltre: è da respingere le lezione diacronica del Vico, tale da riconoscere nell’uomo fasi successive a partire dall’infanzia fino all’età della ragione. Meglio una coesistenza sincronica, la sincronia vince sulla diacronia, la sintesi sull’analisi. Non a caso Barilli sottolinea più avanti con un intero paragrafo la centralità del fanciullino pascoliano; 3) un’opera letteraria è valida se innova, se ha una contestualità organica tale da renderla diversa dal discorso scientifico, quasi fosse un tessuto vivente con continui rimandi fra le parole impossibili da parcellizzare (risulta quindi traducibile da una lingua all’altra solo con gravi perdite, soprattutto se opera di poesia). Infine ha una sua validità se ha una ritmicità interna. Insomma, questo saggio dà un’occasione per avvicinare il filosofo, lo studioso di estetica pronto a difendere i caratteri più rispondenti alla nostra epoca (nemico dichiarato è ogni tentativo semiotico-analitico). Ottavo. Maggiore attualità del romanticismo di Leopardi rispetto a quello del Manzoni. C’è più futuro in Giacomino, molto del nostro Novecento è già nella sua inettitudine, nella scoperta delle epifanie, nel suo convinto ‘accrescimento di vitalità’ divenuto non a caso bandiera di battaglia dei poeti del Gruppo 63 (e Leopardi è forse l’autore che nel saggio viene citato di più). Nono. Riconoscimento della maggiore grandezza di Pascoli e D’Annunzio rispetto ai poeti successivi (Barilli non teme di fare graduatorie, dicevo, il testo è brillante e utile anche per questo), ‘sono i due migliori poeti anche se valutati sulla scorta dei valori emersi nel secolo seguente’. Al lettore la curiosità di scoprire il perché. Bellissimo poi il commento che Barilli fa di uno dei Poemi conviviali: ‘Mi ha sempre commosso quella versione della notte di Natale [ …]l’angelo apportatore del Vangelo giunge in questa fossa mortuaria [quella dei gladiatori] e reca la buona novella al povero barbaro morente, che così chiude gli occhi in pace, nella speranza che il mondo stia cambiando’. Decimo. Presenza a fine saggio di un riferimento importante ai laboratori sulle nuove scritture di RicercaRE e di RicercaBO, voluti e organizzati dallo stesso Barilli a partire dal 1993 sulla scia dell’eredità del Gruppo 63 (Ammaniti, Scarpa, Campo sono passati di lì. Oggi il nuovo si presenta in autori agguerriti che spingono per un’ibridazione di prosa e poesia). Barilli dunque alla fine del suo percorso su poetiche ed estetiche entra direttamente in scena mostrandosi per uno degli aspetti che lo ha impegnato di più, quello della militanza. Il testo sa essere intrigante proprio per questo spirito che lo anima, tale da gettare la luce nuova ed energizzante del presente sugli autori e le opere del passato.