Un romanzo in cui perdersi e che non ci lascia andare

Andres Neuman, Il viaggiatore del secolo, pp. 528, tr. Silvia Sichel, Einaudi, euro 15,00 stampa, euro 7,99 epub

È notte. La carrozza lascia il giovane Hans a Wanderburgo, una cittadina invisibile che piacerebbe a Italo Calvino, presso la pensione della famiglia Zeit. Nome non certo casuale, che farà perdere ad Hans la facoltà di calcolare spazio e tempo, perché a Wanderburgo lo spazio si muove e il tempo si ferma. Le strade si spostano da sole, e il tempo si immobilizza, come dentro un teatro. Hans ha un baule misterioso, intende ripartire subito, ma non riuscirà a farlo.

Già uscito per Ponte alle Grazie nel 2013 con la stessa ottima traduzione, Il viaggiatore del secolo è una trappola. Si viene catturati e non se ne esce. L’effetto Wanderburgo è totale.
Partire, rimanere, è il dilemma di “chi segue una strada, e in quella strada si trasforma”, dice il suonatore di organetto, un mistico. Hans si introduce nel salotto letterario di casa Gottlieb, dove conoscerà Sophie, la figlia del padrone di casa, donna di scintillante intelligenza e seduzione.

Il richiamo con La montagna incantata di Thomas Mann è inevitabile. Il salotto è un alveare. I partecipanti si sfidano incessantemente. Con ardore, o compassata riservatezza, dialogano di letteratura antica e contemporanea, storia, filosofia, con erudita dialettica e raffinata acidità. Sophie tesse la ragnatela. Distribuisce porzioni di torta e pensiero divergente, coltissima com’è, e mantiene alto l’onore dell’accoglienza. L’atmosfera è deliziosamente claustrofobica. A Wanderburgo c’è un mostro. Di notte, solitamente nella stessa zona, violenta le donne, indossando una maschera. Con Napoleone sullo sfondo storico, il romanzo si comporta in modo ottocentesco, fino al primo colpo di scena magistrale che lo fa entrare nella modernità. Hans e Sophie condividono l’amore per la letteratura e le lingue con un’intesa tanto terrestre quanto celestiale, e molti groppi da sciogliere. Hans frequenta ben due salotti. Quello aristocratico dei Gottilieb e quello metafisico del suonatore di organetto, che vive come un barbone in una grotta, frequentata la notte da una compagnia che cerca l’ebbrezza del vino e della verità.

La verità può essere rimandata, ma non per sempre.

Il criminale verrà smascherato? Che cosa vuole Rudi? Che cosa vuole Lisa Zeit? Molti segreti nasconde Wanderburgo. Dobbiamo scendere nelle nostre cantine, al buio, per essere abbagliati dalla profondità di questa storia. La torcia accesa è l’inesauribile forza narrativa di Neuman, che per oltre cinquecento pagine conduce un’orchestrazione operistica, che scorre come un torrente. Quando si arriva alle ultime pagine, ancora non si capisce cosa succederà. Hans e Sophie, che amano Leopardi, dovranno perdersi.

Ma sarà possibile? Ci aspettiamo qualcosa che lo impedisca, ma Neuman va oltre.
Si innalza, vola e ci congeda, mentre noi continueremo a lungo a sentire la voce lirica di Hans e Sophie, i Viaggiatori. Li vediamo nel futuro che non è scritto, diventiamo i loro angeli custodi.

Neuman insegna letteratura latino americana, e come il signor Watanabe, il protagonista dell’altro magnifico romanzo Frattura (Einaudi, 2019), sa che la lingua è il ponte dell’arcobaleno. Lui lo dispiega con una magnificenza da grande artista.

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