Un progetto genocida intitolato The Turner Diaries

Considerati come avamposto di tutto ciò che è buono e giusto, i libri godono di un implicito statuto di positività rispetto a una generale idea di progresso civile e sociale. Nei libri, però, finisce anche quanto di più reazionario sia possibile immaginare: il fascismo allo stato puro.

The Turner Diaries di William Luther Pierce alias Andrew Macdonald, uscito nel 1978 negli Stati Uniti e poi tradotto in moltissime lingue  (anche in italiano), è una guida per l’azione: un filo nero in grado prima di anticipare e poi di spiegare fatti tanto atroci quanto di difficile lettura. Dall’attentato di Oklahoma City, 168 vittime nel 1985, fino al massacro di 77 persone perpetrato a Oslo da Anders Breivik nel 2011, sono innumerevoli i crimini d’odio che affondano le loro radici in concetti come quello di Leaderless Resistance – “la resistenza senza leader” teorizzata da Macdonald – e nell’idea che un fitto nugolo di attentati contro l’odiata società multietnica possa arrivare a destabilizzare il sistema fino al punto da concedere agli eredi di Hitler l’occasione di imporre al mondo una nuova era di terrore razzista.

Ringraziamo la casa editrice Red Star Press per averci concesso la pubblicazione di un estratto di WHITE POWER La letteratura come strumento di propaganda fascista: il nuovo immaginario del suprematismo bianco americano (p. 160, Euro 15) di Stefano Tevini. (E.M.)


L’EMINENZA NERA. IL PENSIERO DI WILLIAM LUTHER PIERCE III

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Il pensiero di Pierce affonda le radici nelle opere di G.B Shaw, uno dei suoi libri preferiti è Uomo e Superuomo, e nelle solite interpretazioni distorte del pensiero di Nietzsche, in particolar modo di Così parlò Zarathustra. Pierce parte da un vitalismo che disprezza l’assenza di un vero proposito e che vede la vita stessa come uno scontro con forze soverchianti. La chiave per elevarsi come individui è la forza di volontà, caratteristica della razza, definita in accordo con il pensiero di Adolf Hitler come volk, l’unione di biologia e cultura, un concetto dinamico che parte dall’idea di eredità biologica. Compare a questo punto uno dei concetti cardine del pensiero e dell’opera di Pierce, quell’idea di miscgenation, la mescolanza razziale come pratica estremamente pericolosa in quanto impedirebbe alle caratteristiche migliori di una razza, e quindi agli individui migliori, di emerge nei momenti di pericolo. La miscgenation è per Pierce, e per il WPM [White Power Movement NdR] da quest’idea profondamente influenzato, uno dei peccati più gravi se non il più grave in assoluto in quanto peccato contro la razza stessa, che va preservata a tutti i costi. Gli ariani sono infatti la razza dominante in quanto razza superiore, pertanto il loro patrimonio genetico non va sprecato per nessun motivo.

Questa è la base dell’antisemitismo di William Luther Pierce che rappresenta il popolo ebreo come razza parassita che prende il controllo delle istituzioni per distruggere l’identità e la purezza genetica della razza bianca spezzandone la volontà con il degrado e la liberalizzazione dei costumi mentre ne diluisce il sangue favorendo immigrazione e accoppiamenti interraziali che danno vita a razze miste e soprattutto impure. In questo aspetto del pensiero di Pierce si percepisce l’influenza di Revilo P. Oliver, autore del romanzo The Franklin Letters considerabile, per certi aspetti, un proto The Turner Diaries. Secondo Oliver, infatti, le razze umane sono come le specie animali in competizione e ciascuna si crede la dominante ma solo chi sopravvive lo è davvero. La mescolanza razziale contamina quindi i geni migliori con quelli di qualità inferiore ed è per questo che la miscgenation è un’arma in mano agli ebrei per indebolire la razza ariana.

I debiti di Pierce nei confronti di The Franklin Letters sono numerosi, così come numerosi sono i punti in comune fra le opere dei due autori: l’espediente narrativo dello scritto ritrovato (le lettere per Oliver, il diario per Pierce), il governo paternalistico che smorza le tensioni razziali e sociali, il politically correct imposto d’autorità, le restrizioni governative sull’uso delle armi da fuoco che tolgono ai cittadini la possibilità di difendersi e la rivolta che parte da un pugno di giusti per ristabilire il giusto ordine naturale (i rangers per Oliver, l’Organizzazione per Pierce).

Il risultato, per quanto riguarda The Turner Diaries, è per lo meno discutibile e di questo Pierce era consapevole. In ogni capitolo è presente una scena d’azione anche quando non ce ne sarebbe bisogno, la trama è un succedersi di eventi spesso scollegati e privi di una struttura vera e propria mentre i personaggi sono caratterizzati con l’accetta, piatti e bidimensionali.

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Il cosmoteismo, il tentativo poco fruttuoso di William Luther Pierce di aggiungere una dimensione spirituale fondando una religione, parte da un background apertamente razzista e si presenta in tre pamphlet: The Path (1977), On Living Things (1979) e On Society (1984). In definitiva il cosmoteismo è un panteismo immanentista. Non è un monismo in quanto l’idea di razza è centrale, non è un umanismo in quanto riconosce l’importanza fondamentale del divino e non è una forma di esistenzialismo in quanto il senso della vita non si sceglie ma viene dato dall’essere parte di un tutto più grande. Da Shaw il cosmoteismo mutua l’idea di una forza vitale creatrice come un tutto in cui le differenze, soprattutto qualitative, vanno valorizzate, e la cui massima espressione è l’evoluzione della razza. La chiesa cosmoteista non ottiene risultati al punto che si vede togliere l’esenzione fiscale dall’IRS, secondo Pierce a seguito delle pressioni fatte dall’Anti Defamation League.

Questa è secondo Pierce la strategia che gli ebrei adottano da sempre in quanto parassiti che prosperano infiltrandosi nelle aste sfere della società per fare i loro interessi e quelli dello stato di Israele: mai integrati, sempre perseguitati eppure in controllo di mass media e cultura di massa. Nella sua biografia non ufficiale, The Fame of a Dead Man’s Deed di Robert Griffin, Pierce si pronuncia come segue:

Media propaganda takes a deliberate slant: to make us [whites] feel guilty, to kill our sense of racial consciuusness while the Jews keep theirs, to persuade us to give up our arms, and to silence all our dissident voices. Their aim for us is to be racially unconscious, to be ashamed of our nature and our traditions, to be afraid to organize for our common good, afraid of being thought as racists. The deliberate aim of the Jewish media propaganda is to disarm us morally, to make us rootless and defenseless, and to destroy us.

L’indebolimento su più fronti della razza bianca da parte degli ebrei è un tema ricorrente nel pensiero di Pierce. Il razzismo serve a fomentarne il senso di colpa, il multiculturalismo serve a indebolirne l’identità e l’omosessualità a minare il concetto di famiglia e di sopravvivenza della specie. L’affossamento continuo della razza bianca negli Stati Uniti fa leva su una delle due anime della cultura politica americana: quella dei diritti individuali, esaltata dai media controllati dagli ebrei a discapito dell’anima che vive di appartenenza e coesione sociale, in funzione di un’atomizzazione che disgrega l’unità della razza ariana.

In tal senso il mito della Seconda Guerra Mondiale come necessaria alla luce di un male assoluto da debellare è funzionale a fomentare il senso di colpa dei bianchi e a negarne i sani impulsi di dominazione e soprattutto di segregazione razziale, la soluzione migliore secondo il pensiero del Pierce più anziano. Un mito tanto dannoso viene insegnato nelle scuole che negano il retaggio culturale della civiltà occidentale propagandando l’egualitarismo che svaluta le conquiste nel campo del sapere e della tecnica della razza bianca oltre che al femminismo che ostacola lo sviluppo del carattere dei maschi ariani. La missione della scuola viene dunque sovvertita, secondo Pierce, dagli ebrei che la controllano. L’educazione spiana le differenze e non premia più la performance meritevole per via del femminismo che castra la competitività, tratto tipicamente maschile.

La relazione uomo-donna ne esce sovvertita, essi non sono più parte dello stesso organismo ma con funzioni distinte, nella fattispecie la donna è madre e fattrice, diventano qualcosa di indistinto dalla cui unione malata risulta un’educazione malata. Un problema che si potrebbe risolvere, secondo Pierce, con l’eugenetica e i quartieri separati nelle città, mettendo fuori legge la mescolanza razziale e riportando l’uomo alla sua condizione di competitivo aristocratico in grado di vedere la big picture e la donna alla sua naturale condizione di concreta ed egualitaria donatrice di cura e amore. Ma ZOG [Zionist Occupation Governent NdR], o NWO [New World Order NdR] che dir si voglia, non vuole tutto questo. Il governo totalitario a trazione ebraica preferisce una femminilizzazione della società per trasformarla in un melting pot docile, privo di identità e per tanto controllabile in cui tutti sono schiavi intercambiabili l’un l’altro persino nel colore della pelle, destinato a diventare una tonalità caffèlatte uguale per tutti.

Contro un futuro di monorazza di pecoroni, Pierce chiama alla lotta per la sopravvivenza della razza, una resistenza che passa per elementi ben precisi: il nazionalismo, l’ordine, la gerarchia, lo status dato dalla responsabilità individuale, l’omogeneità delle radici, delle tradizioni, della sensibilità e del sangue che assumono un ruolo centrale in una società ideale che ritorna alla campagna fuggendo da un egualitarismo fittizio e caotico verso una vita spiritualmente sana.

Perché i limiti della democrazia, secondo William Luther Pierce, sono chiari: la qualità dell’elettorato e l’influenza dei media, in mano agli ebrei che il potere del sangue e della lealtà lo conoscono bene, al punto da precluderlo ai bianchi. Un immaginario processo genocida a cui Pierce crede, e a cui risponde con il progetto altrettanto genocida intitolato The Turner Diaries.