Andrew Michael Hurley, Il giorno del Diavolo, tr. V. Vega, Bompiani, pagine 347, euro 18,00 stampa, euro 9,99 ebook
Questo libro di autore inglese nato nel 1975 offre il fianco per elencare da parte mia una serie di perplessità teoriche che ne hanno accompagnato la pubblicazione in Italia. Sostanzialmente quelle che riguardano la sua classificazione, l’etichetta e la sua appartenenza al genere. Me ne rendo conto, siamo ancora da quelle parti in cui più volte in passato vi ho costretto a transitare e chissà se ne è valsa la pena. Ma questo è un caso macroscopico che la dice lunga su temi e luoghi comuni che, intendiamoci, nulla spartiscono con il lavoro di Andrew Michael Hurley. Però, accidenti, parliamone e andiamo al punto per poi chiuderla una volta per tutte. Che cosa hanno letto tutti coloro che nei vari siti hanno via via definito Il giorno del Diavolo come horror, thriller gotico, noir, “alla King”, eccetera? Eh, no, non l’avete letto o, peggio, manovrati da quale insano sistema di marketing, avete inteso strizzare l’occhio a quelli come me, i cosiddetti “lettori forti”, che si comperano tutti i libri del genere, soprattutto se provvisti di quel titolo e di tanta copertina. Peccato che la storia sia una sorta di Albero degli zoccoli ambientato in brughiera, con sfumatissime suggestioni che rimandano, non so se per calcolo o inconsapevolmente, a Emily Brontë o a certo gotico rurale in stile Wicker Man, il cui centro tematico è lo scontro culturale tra il clan dei Pentecost e la giovane Kat, che ne ha appena sposato uno, e per questo si deve misurare, lei proveniente dalla città, con un sistema arcaico a dir poco invadente.
La brughiera è certo un microcosmo crudele dove incidenti e scontri all’ultimo sangue con vicini che sembrano spartire molto più con lo storico Sawney Bean che con il rude archetipo del contadino locale, ma il Diavolo (con la maiuscola), sempre evocato nei discorsi collettivi perché nelle Endland il Maligno “esiste” in qualche povero animale emarginato o nel montone allupato, è la potente e sin troppo logica metafora con cui definire ambiente e realtà irriducibili, resi tali da un clima non espugnabile. E qui ci fermiamo. Perché invano attenderete per 345 pagine che il soprannaturale, sgocciolato qua e là come una salsa di molesta piccantezza il cui sapore va di continuo rimandato, esploda in qualche titanico “redde rationem” di logica pertinenza. Non capita proprio nulla, anzi Kat, l’unica (a me) simpatica di questo gruppo presuntuosamente e orgogliosamente disurbanizzato, si arrende – mannaggia – ai condizionamenti proprio indisponenti del marito e del clan alle sue spalle e, lasciatasi alle spalle il mestiere e la vita di città, diventa in un batter d’occhio una grassa contadina cui far sfornare mezza dozzina di pargoli. Con grande gioia del consorte John Pentecost, il cui cognome già dovrebbe svelare qualcosa.
E il Diavolo? A tre cartelle dalla fine, Hurley scopre le carte che val la pena qui riportare:
“Kat aveva capito cosa intendevo quando dicevo che il Diavolo era vero. Non il Maligno svenevole delle canzoni, o la cosa che Gideon Denning e i suoi amici credevano di avere svegliato nel Far Lodge. Tra l’altro, non c’era niente da svegliare. Il Diavolo è qui da prima che arrivassero tutti, è qui che passa incessantemente da una cosa all’altra. È nella pioggia, nelle raffiche di vento e nel fiume impetuoso. È negli alberi del bosco. È l’incendio improvviso e l’addentatore di cani. È la malattia che può rovinare un’intera fattoria e la tormenta che seppellisce un intero villaggio.”
Insomma, la facile metafora di cui milioni prima di Hurley si sono serviti non rende giustizia a uno scrittore che, ci racconta l’ufficio stampa, ha conquistato Stephen King. E, certo sorretta da uno stile secco ed efficace, la storia non è così sinistra e inquietante come la si vorrebbe. Il che di per sé non è un difetto, a patto di non volere imbrogliare le carte. Il diavolo delle Endland (che io scrivo minuscolo) è un satanasso edificante, eroico, audace oltre la ragione a volerla cercare. Insomma, è un povero diavolo. Perché la realtà in cui è costretto a rimanere sin dalla notte dei tempi è durissima, faticosa, quasi senza senso. E, per quanto magico, questo è realismo. Screzialo quanto vuoi con accenni supernatural, ma è chiarissimo realismo in cui i demoni vivono nell’occhio di chi (non) legge.