Un doppio omicidio si consuma nella tenuta della Falconaia, vicino Lucca, residenza di una delle famiglie più benestanti d’Italia: i Bonarrigo hanno creato una catena di ristoranti di cibo italiano sparsi nel mondo che muove un giro d’affari di milioni di euro. Il 23 luglio Daniel, il figlio dell’uomo che ha dato il via a questo miracolo economico, trova la moglie Esther e il giovane Jacopo Corti, un ex impiegato della tenuta da poco licenziato, assassinati con un coltello. Tutti gli indizi portano a lui, che dopo l’inchiesta verrà processato per i due delitti.
L’opinione pubblica, scossa dall’efferato delitto, si divide tra innocentisti e colpevolisti, tra quelli che sottolineano l’importanza di un’impresa che dà lavoro a centinaia di persone, e che subirebbe un danno irreparabile se Daniel venisse condannato, e chi è convinto che un uomo potente come l’imprenditore non sarà mai punito in un Paese come il nostro. Ma questa è solo la trama di un libro che non è solo la storia di un processo, ma è lo specchio dell’Italia di oggi. I giudici popolari che sono stati sorteggiati per far parte della corte rappresentano buona parte della nostra società: Terenzio è un pensionato non ancora sessantenne, ex infermiere, con una storia personale poco chiara, che sembra polemizzare su tutto solo per affermare la propria esistenza; Iris una bibliotecaria cinquantenne che incarna una generazione con molti ideali e poche certezze; Serena una lavoratrice precaria, cameriera in un pub, con un grado di autostima sotto lo zero; Malcolm, youtuber famoso, che si guadagna da vivere recensendo videogiochi senza trovare un vero scopo; Ahmed un magazziniere di origine marocchina che lavora di notte e abita con uno spacciatore che gli creerà non pochi problemi; Emma una vedova ancora piacente e benestante che ha una boutique sul lungomare di Viareggio e rincorre il suo sogno di amore.
Il processo li cambierà, entrando prepotentemente nelle loro esistenze: metterà in dubbio alcune loro scelte, faranno riapparire fantasmi che sembravano sopiti e metterà a repentaglio la vita di alcuni di loro.
I giorni del giudizio è un romanzo riuscito sotto tutti i punti di vista e Simi si conferma uno dei migliori scrittori italiani: il suo stile è essenziale e senza alcuna sbavatura, i dettagli del processo sono narrati con una precisione quasi maniacale, i personaggi sono delineati approfondendo con estrema chiarezza le loro psicologie e le loro debolezze, la trama è un concentrato di colpi di scena che alla fine troveranno una chiusura del cerchio perfetta. Ed è l’Italia di oggi quella di cui ci parla lo scrittore viareggino, del paese isterico che siamo diventati, dove il lavoro nero è la regola, dove l’immigrato è il nemico, dove i diritti sono ridotti a privilegi, dove la destra estrema anziché essere un mero fatto folkloristico si è radicata nel tessuto sociale, dove per arrivare a fine mese molti devono fare salti mortali, dove la cultura è vista come un orpello inutile, anche se i politici cavalcano l’ignoranza della gente.
Ma Simi ci dimostra come è con la cultura, le competenze e una documentazione accurata che si scrive un bel romanzo – un noir che rispetta appieno il suo scopo di denuncia sociale –, qualità che usa all’interno della narrazione con citazioni mai a sproposito e mai fini a se stesse, con una modestia e una capacità di usare gli strumenti narrativi che credo possiedano in pochi.
È un paese alla deriva che Simi ci racconta, senza tralasciare niente, e l’aver letto uno dei migliori romanzi di quest’anno non toglie l’amaro in bocca per i tempi bui che stiamo vivendo.