Già è difficile scrivere un romanzo storico; è una cosa che mi viene spesso da pensare, leggendo quelle storie che riescono a farti dimenticare la distanza intercorrente tra la data di nascita dell’autore e i tempi in cui si ambienta la vicenda. Penso al Saramago del Memoriale del convento, oppure alla Yourcenar dell’Opera in nero, e resto come sgomento all’atto di negromanzia con cui non solo fanno tornare in vita i morti, ma addirittura riapparire un tempo ormai andato per sempre (e sì, lo ammetto, ci riesce anche Manzoni, pur se non con la potenza dei suoi successori).
Poi è difficile scrivere un giallo, con questa profluvie di ispettori commissari detective inquisitori indagatori che rovistano tra cadaveri in numero variabile e altre nefandezze. È difficile scriverlo perché, con quest’inflazione di misteri da risolvere o già risolti ma da portare alle estreme conseguenze (quest’ultimo sarebbe il noir), che ti vuoi inventare ancora? Non bastava la concorrenza dei soliti americani, inglesi e francesi. Non bastava l’esplosione di una scuola italiana di giallo e noir che ha dimostrato di sapere pure tenere testa alla concorrenza. No, c’è stata pure la calata dei vichinghi, non più armati di asce e a bordo di drakkar, pronti a menare strage e mettere al sacco; no, ora arrivano pure gli investigatori scandinavi, e te la devi vedere pure con quelli. Difficile inventarsi qualcosa che colpisca, che non sappia di vecchio. È dura, è dura.
Ebbene, Paolo Malaguti ha voluto fare il tuffo carpiato con avvitamento e giravolta e colpo di scena. Si è avventurato sul terreno doppiamente pericoloso del giallo storico. Non un commissario Montalbano d’oggi, bensì un ispettore Malossi dei primissimi anni Trenta, alle prese con un morto illustre, nientemeno un generale Graziani (ma non il mio famigerato conterraneo Rodolfo), eroe della Grande guerra, e al tempo stesso boia militare senza pari. Un personaggio realmente esistito, e realmente trovato morto lungo una linea ferroviaria il 27 febbraio 1931, a tutt’oggi per ragioni sconosciute.
Malaguti, però, non è contento. Non basta l’indagine del Malossi, tutt’altro che poliziotto senza macchia e senza paura, più che altro italianissimo uomo che si barcamena senza dare troppo fastidio, attento a non urtare le suscettibilità dei superiori e dei vari potenti in quell’Italia fascista dove a non rigare diritto si rischiava di brutto. No, per riempire il vuoto dietro il fatto bruto di quel cadavere illustre su una massicciata ferroviaria, Malaguti racconta anche una trama parallela, che man mano si scoprirà legata a quella dell’indagine, di fatti accaduti tra il 1917 e il 1918 sul fronte italiano, prima lungo l’Isonzo, dove si faceva macelleria industriale tra le trincee e il filo spinato, poi durante la rotta di Caporetto (quella immortalata da Hemingway, Comisso e Malaparte), e poi sulle rive della Piave, che non era ancora diventata maschio, virile e pure un po’ fascistone.
Che dire? Di fronte a tanto coraggio non resta che mettersi sull’attenti. La ricostruzione dei due periodi è notevolissima, anche se la visione della Venezia Giulia devastata dalla guerra è sicuramente più vivida di quella degli irreggimentati anni Trenta; in compenso, la narrazione dell’indagine, come si suol dire, tira. E a momenti le pagine di Malaguti hanno anche una singolare forza di scrittura che lascia il segno.
Concludo: avendo letto e riletto non so più quante pagine di letteratura della Grande guerra di diversi paesi, confesso di aver preso a sfogliare Prima dell’alba un po’ con l’atteggiamento del maestro che va a leggere il compito dello scolaro, pronto a metter giù segni blu o rossi, dicendomi “vediamo un po’ se ha fatto i compiti, questo”. Be’, Malaguti li ha fatti e come, documentandosi con accuratezza sui fatti del 1917, e sapendoli poi rielaborare in modo assolutamente convincente. Un otto non glielo leva nessuno.
14 Ottobre 2017