Esistono libri che racchiudono una vita, anzi molteplici vite, romanzi che hanno una storia pazzesca e che raccontano di vicende rinchiuse in altre vicende come matrioske infinite. Ci sono libri che hanno un valore inestimabile per gli aneddoti che portano alla luce una volta pubblicati. E poi c’è Casa di foglie di Mark Danielewski che è un caso anomalo. La prima edizione iniziò a circolare negli Stati Uniti all’inizio del 2000 vivendo di passaparola nel web e prendendo sempre più forma tra i lettori fino ad arrivare al grande Stephen King che in un articolo pubblicato sul New York Times Magazine lo definisce il Moby Dick del genere horror. Posto che come esordio sia stato di per sé un’eccezionale rarità, sul retro della copertina vi è scritto un avvertimento: “Se siete fortunati vi stancherete di questo libro, avrete la reazione in cui Zampanò aveva sperato, lo definirete inutilmente complicato, ostinatamente ottuso, prolisso – parola vostra – , assurdamente concepito, e ne sarete convinti, lo metterete da parte – anche se sento dire “da parte” e mi vengono i brividi, perché che cosa riusciamo mai a mettere da parte in realtà? – e andrete avanti, mangerete, berrete, sarete felici e soprattutto dormirete sonni sereni.”
Occorrono cinque lunghi anni prima che l’Italia possa apprezzare quest’opera maestosa, in particolare grazie alla lungimiranza di Mondadori che la rende accessibile sul territorio nazionale. Segue poi un lungo stop fino a quando nel 2019 la piccola casa editrice romana 66thand2nd si prende a cuore (fortunatamente!) la ripubblicazione di questo volume che a oggi giunge alla terza ristampa, confermando il favore dei lettori della prima ora.
Danielewski, nasce a New York da padre polacco, il regista d’avanguardia Tad Danielewski, e quella Z.- piccola curiosità – per esteso sarebbe Zampano. Questa nota avrà la sua giusta connotazione in seguito.
Difficilmente etichettabile, il romanzo è strutturato su più livelli di lettura in quanto più voci lo costituiscono, tutte differenziate dal carattere per poter scegliere la voce narrante da seguire, proseguendo così su un flusso logico, caratteristica propria della letteratura ergodica che obbliga talvolta a ripiegare il testo. Ci introduce nella storia Johnny Truant, giovane che lavora in un negozio di tatuaggi e alla ricerca di un appartamento, quando viene contattato dall’amico Lude che gli sottopone un alloggio appartenuto al vecchio Zampanò (e qui ritorna la Z.), un anziano cieco deceduto di recente. Johnny ritrova sparse per casa pagine su pagine, frammenti che costituiscono un manoscritto in cui si evince che l’anziano inquilino altri non era che un accademico studioso delle opere del regista Will Navidson, e nello specifico della pellicola girata sugli inquietanti fenomeni fisici avvenuti nella casa stregata di Ash Tree Lane in Virginia.
Da qui in avanti la narrazione si districa in labirinti di parole e pensieri, le voci narranti si intersecano abilmente tra loro creando ipertesti con note e citazioni, molte delle quali nate dall’immaginazione dell’autore, pagine cariche di effetti agorafobici e claustrofobici che rendono complesso e difficoltoso l’avanzare nella storia, anzi nelle storie. Chi ascoltare? A chi dare retta in questo garbuglio di opinioni?
La casa nasconde spazi fisicamente inspiegabili, corridoi che si allungano e nascondono porte che si aprono su stanze dal soffitto immenso e scale senza fine. Navidson riesce perfino a percepire un ringhio rabbioso sussurrato se ci si addentra troppo in quegli spazi. La casa è paragonabile al matrimonio tra Will e Karen, che l’hanno acquistata per avvicinarsi, mentre questo potenziale corridoio sul nulla rappresenta un motivo in più per litigare ed essere sublimemente terrorizzati. Sullo sfondo i commenti e il racconto di ciò che accade nella vita di Johnny, che ossessionato da questa storia del video non pensa ad altro che approfondire gli studi di Zampanò.
L’appendice del libro è composta da una serie di lettere che nascono dai ricordi nostalgici sull’infanzia vissuta da Johnny, e che la madre Pelafina gli scrive dall’istituto psichiatrico Three Attic Whalestoe in cui è rinchiusa. Attraverso le sue parole impariamo a conoscere un personaggio importante e complementare, nonostante in principio queste lettere siano comprensibili e gradualmente declinino verso la paranoia. Inizialmente pubblicate come romanzo autonomo, sono invece raccolte in quest’edizione a integrazione del volume, assieme a frammenti fotografici, poemi, citazioni e reperti di vario tipo.
Un volume impegnativo e pieno zeppo di misteriosi buchi neri da cui farsi inghiottire e in cui perdersi per notti intere, ribellandosi al suggerimento del vecchio Zampanò che rifuggiva da quegli interminabili corridoi della casa di Navidson che gli hanno causato la perdita del sonno.
Casa di foglie è dunque un romanzo immersivo, in cui il lettore si trova sballottato tra tante realtà e divergenze, senza per questo perdere il senso della narrazione. La trama è irrilevante, ciò che importa e che si manifesta è la capacità di narrare e raccontare eventi in apparenza slegati, proprio come le vite di ciascuno di noi.
In ultimo ma non per importanza, una menzione dovuta alla traduzione. Nell’attuale versione in commercio che restaura il layout dell’edizione originale, i traduttori sono Sara Reggiani e Leonardo Taiuti, che lavorano insieme da oltre dieci anni e che si sono suddivisi le parti del testo su cui lavorare. Barzellette, giochi di parole, anagrammi e acrostici è ciò che si sono trovati davanti, perfino refusi voluti e mille ipotesi sul segno di spunta a pagina 105. Nella traduzione originale di Mondadori, nella collana Strade Blu del 2005, versione presto diventata oggetto da collezione il cui prezzo nel mercato dell’usato arriva fino a 600 euro, invece le firme erano di Anzelmo, Brugnatelli e Strazzeri.