Un lavoretto ben fatto

Giulia Niccolai, Favole & Frisbees Archinto, pp. 152, euro 14,00 stampa

Leggendo Giulia Niccolai (e questo incipit è un chiaro omaggio, per chi sa di cosa sto parlando, a Giorgio Manganelli, che così inizia la prefazione a Harry’s Bar e altre poesie 1969-1980 pubblicato nella collana gialla di poesia di Feltrinelli, diretta da Antonio Porta, nel 1981) sembra di veder apparire dietro ogni angolo il famoso Gatto del Cheshire di Lewis Carroll, sospeso a mezz’aria, intento a osservarci sì col solito sorriso beffardo ma anche con un filo di stanchezza nel basso dell’iride scintillante. O forse la stanchezza è solo nostra, per quanto di mesto ci sta appresso nel mondo, non certo per le opere di Giulia che continuano a tenerci saldamente il cuore posto in mezzo alla fronte.

E non sarà perché la decennale appartenenza al Buddismo di Giulia influenzi il nostro sguardo umano e letterario. Un po’ sì, certo. Allusioni, rimembranze, motti di spirito, fremiti (e farfalle) allo stomaco, sono tersi eventi che rischiarano le giornate e le nottate (nelle prime i raggi si fanno largo tra nuvole fumose, nelle seconde l’optional sono moderni lampi elettronici LED). L’incanto del libretto è anche questo.

Un’altra voce aggiunta al vocabolario Niccolai’s Complete Works (Giulia dovrebbe essere contenta del mio continuo citare il Manga), giunto in un 2018 imprigionato dentro visioni distorte. Presentato in impareggiabile modo da un certo Alessandro Giammei, giovane genio dell’affabulazione definito così dalla stessa Niccolai. Non si stenta a crederlo, leggendo fra le tante cose questo suo passaggio: “Ho scritto, fin qui, quasi duemila parole per introdurre un libro a cui non serve un’introduzione. Mi scagiona il fatto che, come ogni amante della letteratura, potrei finire a scrivere libri più lunghi di quelli che leggo quando leggo libri veramente importanti e mi si chiede di scriverne”. Olé, esclamerebbe Giulia. E a ragione, se seguiamo le impronte, che tendono a illuminarsi sempre più, lasciate da cinquant’anni di scritture calligrafiche & tipografiche della nostra Giulia madre di tutte le giulie del locale universo (non molte, per la verità) letterario.

Tutti sanno cosa sono le favole, ma quanti sanno cosa sono i frisbees dell’autrice? L’oggetto così viene definito dal vocabolario Treccani: “frisbee, s. ingl., (pl. frisbees) usato in ital. al masch. – Gioco all’aperto, diffusosi (anche come competizione sportiva) dagli Stati Uniti d’America: consiste nel lanciare alla maggiore distanza possibile, e imprimendogli nell’aria un particolare effetto, un leggero disco di plastica (chiamato anch’esso, con nome brevettato, frisbee), che viene preso al volo da un compagno o avversario di gioco, o anche dallo stesso lanciatore dopo una corsa veloce e acrobatica. Pare che il termine sia l’alterazione di Frisbie, nome (dal suo fondatore) di una ditta di prodotti dolciari, perché in origine il gioco veniva praticato da militari e studenti americani con i vassoi di cartone entro cui la ditta metteva in vendita le proprie torte.” Ecco, l’idea che gli americani (notoriamente golosissimi di torte) acquistino il dolce al fine di avere fra le mani un oggetto da lanciare in aria non è soltanto divertente, ha tutto quel gusto (appunto) di divertita nonchalance con cui Giulia racconta i suoi incroci fra Oriente e Occidente, sorprese e cortocircuiti fra le parole e lapsus che fanno della mente il parco giochi dell’intelligenza applicata.

È tutta una faccenda di piccoli petardi afferrati in volo dall’autrice, e che agitandosi come coniglietti seminano ovunque significati insospettati. “I Frisbees si chiamano Frisbees / e non poesie. Il loro scopo, / da più di trent’anni, è quello / di raccontare (?), cantare (?) / la libertà conquistata man mano nella vita. / Libertà? Questa sì che è poesia!” Coincidenze, scrive Giulia, che da 30 anni e più scandiscono magicamente la sua vita. Non solo: “la mia stessa fede è basata sulle epifanie e la sincronicità”.

Gli sciami del mondo sono tutti intorno, Giulia Niccolai li racconta così come si presentano a lei, ma per capire che aria tira occorre procurarsi questo libretto (in fondo – in realtà il prezzo è proprio indicato in fondo al volume – non costa poi molto), poiché sia chiaro: “Certi biscotti per cani / hanno forma di ossa, / non per compiacere i cani / – come ci viene istintivo pensare – / bensì per farci capire / che sono per i cani / e non per noi.” Chi teme la poesia non se ne preoccupi, qui la distinzione tra prosa e poesia non ha più senso, le curve da percorrere sono fatte d’intuito allo stato puro e le leggi fisiche diventano lasche quanto serve a una mente umana bisognosa di allenamento. “Un lavoretto ben fatto” (sempre Manganelli).

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