Un altro Bataclan

11 aprile 2018

Marco Bramè, La notte dei ragni d’oleandro, Transeuropa, pp. 210, euro 16,90 stampa

Premessa indispensabile altrimenti non si capirà molto di quel che sto per scrivere: la sera del 13 novembre 2015 al Bataclan di Parigi c’era il concerto di una band di metallari americani, chiamata Eagles of Death Metal (nomen omen). Circa 1.500 spettatori erano lì a farsi martellare i timpani. Il concerto era iniziato già da un’ora quando entrano nel locale tre uomini vestiti di abiti scuri, armati di Kalashnikov e bombe a mano, e provvisti anche di caricatori di riserva. Mentre la band attacca un pezzo intitolato “Kiss the Devil”, i tre cominciano a sparare a raffica sul pubblico e a tirare bombe a mano. Effettivamente, il bacio del diavolo. Pandemonio: morti feriti gente che scappa. Per quanto possa sembrare strano, i membri della band si salvano tutti; una parte del pubblico riesce a fuggire dalle uscite di sicurezza; un centinaio vengono presi ostaggio dai tre terroristi (i quali metodicamente dànno il colpo di grazia ai feriti che giacciono sul pavimento del locale). Arriva la polizia in forze, e i terroristi cominciano a decapitare un ostaggio ogni cinque minuti, per poi scaraventarne il cadavere fuori dal locale. La polizia decide di fare irruzione. I tre terroristi si fanno saltare in aria; nessuno di loro viene preso vivo. Risultato finale: 89 morti.

Questa, la storia. Ora, passati meno di tre anni, la casa editrice Transeuropa lancia una collana (chiamata “Gli scarafaggi”, anche se nella copia che ho ricevuto viene denominata “Wildworld”) nella quale scrittori s’impossessano di fatti di cronaca e li trasformano in fiction. Questo ha fatto Mario Bramè, filosofo con un passato di batterista in una band prog, nella Notte dei ragni d’oleandro. Nel suo romanzo il Bataclan resta il Bataclan, e sta a Parigi; però la funesta notte del 13 novembre nel locale non c’è un concerto metallaro, bensì un concorso, chiamato all’inglese Contest (che vuol dire la stessa cosa), nel quale giovani jazzisti di belle speranze dànno il meglio di sé in una serie di jam session, finché il pubblico non sceglierà tra loro quello che più li ha convinti, commossi, entusiamati, affascinati. E al vincitore si apriranno le porte dorate di una carriera da professionista.

Bramè racconta la storia della serata vista da un batterista di nome Mario, evidente alter-ego dell’autore; ma alterna il suo punto di vista, rigorosamente in prima persona, con quello di Mohammed ***, organizzatore della strage. Solo che Mohammed *** non appartiene affatto all’ISIS, non è neanche un terrorista islamico fai-da-te. Nonostante il nome potrebbe farcelo pensare, e nonostante ripeta di ispirarsi a un Libro, dopo un po’ che leggiamo i capitoli del romanzo dove è lui a parlare ci rendiamo conto che Mohammed *** è ateo, e che il libro cui si rifà è un testo di filosofia. Quale, non sono riuscito a capirlo, anche se in certi punti mi pare Nietzsche (potrei anche sbagliarmi; magari è Schopenhauer, o Kierkegaard). Bramè comunque non ha scritto titolo e autore, quindi è sua intenzione lasciare il lettore nel dubbio.

Il nichilista Mohammed *** è giunto alla conclusione che il mondo è qualcosa di casuale e di insensato, e quindi per comunicare al mondo il suo messaggio ha pensato che non c’è niente di meglio di una bella strage, in modo da finire in prima pagina e in testa alle notizie dei TG. Come complici si prende Naima e Chadi, due sfigati che orbitano attorno al Bataclan (del quale Mohammed *** non è il proprietario, anche se in pratica si comporta come se lo fosse, per via di un grosso favore che ha fatto al padrone), li arma con due AKM (sigla che designa la versione modernizzata del buon vecchio AK-47, introdotta nel 1959) e organizza la carneficina.

Il resto non mi pare il caso di raccontarlo, anche se Bramè, dato il presupposto per così dire teorico che regola l’intera collana, non può allontanarsi troppo dai fatti, per cui le armi spareranno e chi deve morire morirà; la suspense, se c’è, è legata al chiedersi se qualcuno scamperà al mattatoio e chi.

Domanda conclusiva: ma l’idea funziona? La mia personale opinione è che l’esperimento sia riuscito solo in parte. Il presupposto era sicuramente interessante, ma chiede molto all’autore che debba barcamenarsi tra storia e invenzione. Forse era un cimento da riservare a uno scrittore di narrativa esperto e collaudato, a qualche vecchia volpe che conosca tutto il repertorio. Bramè invece è al suo esordio come romanziere, a quel che mi risulta, e ha un percorso di scrittura saggistica in ambito filosofico. Infatti il suo Mohammed *** filosofeggia spesso e volentieri, e ogni tanto lo fa anche Mario, il batterista. Insomma: qua e là ci sono ingenuità, lungaggini, goffaggini, momenti macchinosi che non giocano a favore della tenuta della trama. Però è anche vero che chi non risica non rosica, e va dato atto a Transeuropa di essersi lanciata in un esperimento sicuramente coraggioso. Stiamo a vedere cosa combineranno con le prossime puntate.

(Un consiglio però mi sento di darlo: La notte dei ragni d’oleandro non è esattamente quel che si dice un titolo incisivo. Mi fa pensare a imprese notturne di un giardiniere alle prese con fastidiosi parassiti. E il titolo, come ben si sa, è il primo biglietto da visita di un romanzo.)

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