Questo bel volume curato da Angela Balzano, Elisa Bosisio e Ilaria Santoemma non è la traduzione di un volume originale, bensì una raccolta di interventi diversi tradotti da fonti disparate, e apparsi in un arco di quasi quaranta anni: su pubblicazioni specialistiche, saggi in volume, riviste. Ciò che i testi hanno in comune, oltre al fatto che sono tutti opera di donne che si riconoscono nel movimento femminista, è il desiderio di, come si legge nella lunga prefazione, “com/pensare, ossia di pensare insieme per rigenerare, per rimediare ai danni che teorie e prassi incentrate sul’Uomo, come soggetto razionale/portante, hanno causato all’alterità umana e non-umana tutta”. Letto così sembra un proposito astratto; ma questo solo perché il campo d’azione è molto vasto, e va dall’economia alla genetica, dalla filosofia alla biologia. L’idea della raccolta nasce dal modulo Scienze-2020 del master in Studi e politiche di genere, università di Roma-3.
“Le bio-infotecnologie non sono in essenza il male e lo scrivere questa frase non ci colloca immediatamente tra le fila delle tecnofile. Non è più un’opzione quella di schierarsi nell’agone bioetico e filosofico-analitico che vede protagoniste le solite due fazioni opposte: tecno-entusiasmo e tecnofobia. Della bioetica rifuggiamo sia il relativismo neoliberale che il proibizionismo tecno conservatore.”
Nel primo saggio dell’indice, Melinda Cooper confuta la teoria che vede una correlazione tra stagnazione economica e bassa natalità, dimostrando che le crisi “secolari” dipendono piuttosto dallo spostamento di risorse tra i redditi dei lavoratori e i profitti delle imprese: i primi perdono potere d’acquisto, i secondi investono in attività finanziarie invece che nell’economia. Zoe Sofia, in un intervento intitolato provocatoriamente Feti sterminatori, analizza “il culto per la personalità del feto della nuova destra”, con frequenti riferimenti al film 2001: Odissea nello spazio di Kubrick (!), in quanto entrambi “aspetti di un apparato ideologico che indirizza le paure dell’estinzione come mezzo di distrazione dalle pratiche annientatrici del complesso militar-industriale.” Le conclusioni sono visionarie, perché ogni tecnologia è una tecnologia riproduttiva e noi “viviamo nel set di un film horror fantascientifico”.
Beth Dempster scende in una complessa analisi di quelli che chiama “sistemi simpoietici”, cioè “sistemi complessi, capaci di auto-organizzarsi e di prodursi collettivamente senza confini”, come opposti ai “sistemi autopoietici”, semi-aperti, che sono “omeostatici, orientati allo sviluppo, controllati centralmente, prevedibili ed efficienti”. Appartengono per esempio ai primi la foresta, la comunità, il linguaggio comune, il processo partecipativo; ai secondi appartengono l’albero, l’individuo umano, il linguaggio tecnico e la task force guidata da esperti.
Sarah Franklin scrive di parentele future, oltre la fecondazione in vitro. Il testo di Donna Haraway è tratto dal catalogo di una mostra di Patricia Piccinini tenutasi a Vitoria, Spagna, e ne illustra le opere artistiche alla luce di “fabulazioni speculative” (sono comprese fotografie delle opere). Noël Sturgeon si domanda per quale ragione due recenti film per bambini sulla vita dei pinguini, con la loro sessualità dai confini incerti, siano stati acclamati sia da esponenti della destra, interessati al concetto di famiglia tradizionale, che da movimenti LGBTQ+. Il volume contiene ancora testi di Luciana Parisi, Stacy Alaimo e María Puig de la Bellacasa.