Per chi ha vissuto la lunga stagione della fantascienza italiana vengono via via a mancare i punti di riferimento, i cardini attraverso i quali il movimento si è costruito un’identità e una fisionomia, dai tempi pionieristici degli anni Cinquanta al consolidamento dei Sessanta e all’esplosione dei Settanta. È nella natura delle cose, tuttavia il senso di vuoto per chi resta è grande. Queste tre stagioni Ugo Malaguti, classe 1945, le aveva vissute tutte: dapprima come lettore-bambino di Urania e delle altre riviste maggiori e minori di quel primo decennio, poi come scrittore – ancora bambino, giovanissimo esordiente sul periodico Oltre il cielo nel 1960 –, enfant prodige, incarnazione nostrana dello spirito sessantottesco con la sua irriverenza, il suo coraggio donchisciottesco e anche le sue superficialità e presunzioni, e infine come artefice, editore e editor di un’impresa coraggiosa come Libra, casa editrice di una rivista mitica, dalle grandi ambizioni come Nova Sf, e di storiche collane rilegate come Gli Slan e I classici della fantascienza, che nel corso del tempo hanno presentato in Italia in prima edizione capolavori di Philip K. Dick (Le tre stimmate di Palmer Eldritch), Ursula K. Le Guin (La mano sinistra delle tenebre) o Samuel Delany (Dhalgren), e tanti altri romanzi indimenticabili (e anche, è vero, romanzetti certo più dimenticabili). A meno di quarant’anni Malaguti era diventato, come ricorda lui stesso in un passo di questo volume, uno dei “grandi vecchi” della fantascienza italiana: amato e avversato, esaltato e deprecato, una personalità carismatica, divisiva, come si dice oggi di chi è scomodo, pieno di contraddizioni e proprio per questo perfino tenero nella sua umanità un po’ sfuggente, affabile, dolente e al tempo stesso pungente, in un groviglio inestricabile di contraddizioni paradossali. Probabilmente proprio la personalità strabordante di Malaguti ha messo in ombra la sua attività di editor, il suo spessore di critico: varrebbe la pena – e si spera che l’operazione presto o tardi sia portata avanti – di recuperare i suoi innumerevoli corsivi, le sue introduzioni, le rubriche che scriveva forsennatamente e che lo vedevano impegnato al limite della grafomania per riempire i vuoti delle pubblicazioni da lui dirette, dalle note iniziali fino alle rubriche della posta. Ne scaturirebbe una messe d’informazioni sull’evoluzione della fantascienza in Italia e, credo, il ritratto di un critico molto più serio e profondo di quanto lui stesso – e la vulgata che di lui ha costruito immagini semplicistiche e stereotipate – avrebbero ammesso.
Ugo Malaguti è morto nel settembre 2021, mentre stava lavorando ai suoi ultimi progetti. Uno di questi ora vede la luce, presso la casa editrice – la terza, dopo Libra e Perseo – che era stata la sua creatura, Elara. Il titolo fantascientificissimo rimanda a intrecci di storia reale, ovvero agli incontri di Malaguti con i grandi e meno grandi personaggi che hanno segnato il suo percorso e, di conseguenza, il percorso della fantascienza italiana, da Roberta Rambelli a Lino Aldani a Mario Vitali agli innumerevoli scrittori, lettori e appassionati (sperso coincidenti in un unico soggetto) con i quali Malaguti ha avuto a che fare. E poi, la narrazione dei contatti e delle relazioni con gli autori internazionali frequentati nel corso di una carriera sessantennale: uno scrigno di tesori che si apre su aneddoti, storie inedite e inaudite, su curiosità e informazioni preziose, mediate da una scrittura brillante e da una visione panoramica di una storia della quale Malaguti è stato protagonista. Di questo suo ruolo è consapevole, e tuttavia – questo sorprenderà i detrattori – la sua narrazione in prima persona non assume un tono tronfio e rivendicativo: piuttosto la sua sembra una delicata tenerezza, certo non scevra di ammirazione, per quel bambino e poi per quel giovane uomo che fu, che prometteva tanto e che tanto ha mantenuto, ma – e lo si legge tra le righe – da vecchio rimpiange ciò che non ha potuto o non è stato in grado di mantenere.
Lo scrigno si apre, dicevamo: ma poi bruscamente si richiude. Il libro è incompiuto, si interrompe su un capitolo dedicato a Theodor Sturgeon. Segue bruscamente il sommario nel quale ai capitoli effettivamente presenti si aggiungono quelli programmati e mai scritti: Frederik Pohl, A. E. Van Vogt, Robert Sheckley e altri ancora. E ai rimpianti di Malaguti si aggiungono anche quelli di noi lettori.