Ogni nuovo romanzo di McEwan rappresenta un evento per il mondo letterario e non potrebbe essere altrimenti, dato che parliamo di uno dei migliori autori contemporanei. Personalmente lo seguo dal lontano 1993, l’anno in cui apparve in Italia Cani neri, il romanzo che decretò l’inizio del suo successo. Nonostante le sue indiscusse doti di romanziere, credo che la punta massima della sua narrativa l’abbia raggiunta con i racconti pubblicati nelle due antologie Primi amori, ultimi riti e Fra le lenzuola, testi essenziali – a volte scarni –, ma sempre micidiali che indagano le profondità dell’essere umano raschiando il fondo buio che ognuno racchiude in sé.
Macchine come me non è, forse, uno dei suoi libri più riusciti: se la trama c’è – solida e ben architettata –, se ci sono i personaggi – sempre tratteggiati con estrema cura e precisione – e se lo stile è indiscutibile – raffinato e garbato come al solito – sono forse i dettagli a non convincere, a non essere approfonditi e a non dare spessore alla struttura della narrazione. Ci troviamo di fronte a un’ucronia, espediente molto caro agli scrittori di fantascienza ma come sempre, quando è un grande autore a cimentarsi in questo genere, – possiamo citare Don DeLillo con Zero K o Nel paese delle piccole cose di Paul Auster, i primi due che mi vengono in mente –, gli editori si guardano bene dal dichiararlo come se fosse un fattore squalificante. L’ucronia racconta di un universo alternativo al nostro nel caso che alcuni fatti fossero andati diversamente. Uno dei capisaldi di questo genere è senz’altro L’uomo nell’alto castello, del visionario P.K. Dick, in cui l’autore ipotizza un mondo dove sono state le forze dell’Asse a vincere la Seconda guerra mondiale.
McEwan invece ci presenta un 1982 dove i Beatles si sono riuniti e hanno fatto uscire il loro ultimo album, la guerra delle Falkland, in cui gli Inglesi sono stati sconfitti subendo ingenti perdite umane, ha portato alla disfatta politica di Margareth Thatcher, ma soprattutto Alan Turing, l’uomo che ha decrittato il codice Enigma dando il colpo di grazia alle armate tedesche nella Seconda guerra mondiale, non si è suicidato ed è stato, con le sue intuizioni e scoperte, il maggior artefice di uno sviluppo informatico che ha portato la tecnologia a livelli più avanzati di quelli odierni. La punta di diamante di questa società ipertecnologica è l’immissione sul mercato di prototipi di robot con un sistema operativo sofisticato e costruiti con materiale che replica in tutto e per tutto le caratteristiche umane. I venticinque esemplari, dodici Adam e tredici Eve – quest’ultime acquistate anche a scopo di piacere sessuale –, spariscono dal mercato in un baleno nonostante il costo proibitivo.
Charlie Friend, il protagonista del romanzo, ha ereditato dalla madre una somma cospicua che gli permetterebbe di comprare un appartamento in una zona più centrale di Londra rispetto a quella in cui vive in affitto, a sud del Tamigi. Decide invece di investire su Adam, forse anche per far colpo sulla vicina Miranda di cui è innamorato, ma a cui non si è mai dichiarato per paura di un rifiuto. Adam entra nella sua vita quotidiana, e il suo carattere e le sue peculiarità saranno impostate rispondendo alle domande di un questionario che poi saranno immesse nel sistema operativo del robot. Charlie lascia metà delle domande – di cui non saprà le risposte – a Miranda, per far sì che Adam diventi la creatura di entrambi.
Le cose non vanno secondo le aspettative, e anzi Adam getta subito un’ombra di sospetto su Miranda e dimostrerà di sviluppare sentimenti che, secondo il manuale di istruzioni, non dovrebbe avere. I temi toccati dallo scrittore inglese sono diversi, alcuni non proprio nuovissimi per chi ha un minimo di dimestichezza con la letteratura di fantascienza, e le riflessioni che induce nel lettore sono molto attuali: se le macchine potessero decidere, che tipo di etica userebbero? L’interagire sempre più assiduo con le macchine cambierà la mentalità del genere umano? Il computer diventerà una protesi dell’uomo o viceversa? E questi sono solo alcuni spunti che sono suggeriti.
L’eleganza di McEwan non è mai in discussione, una peculiarità che lo ha sempre reso riconoscibile nel panorama della narrativa mondiale, ma credo, e mi ripeto, che a questo romanzo manchi quell’indefinibile feeling che attraversa le grandi opere.