Enrico Brizzi, Tu che sei di me la miglior parte, Mondadori, pp. 543, euro 20,00 stampa, euro 9,99 ebook
recensisce UMBERTO ROSSI
Non so che musica sentite, ma fate uno sforzo: immaginate un concerto per strumento solista e orchestra. Forse vi verrà facile pensare a un pianoforte che martella su un sottofondo di timpani e ottoni; forse un violino che volteggia al di sopra di legni e archi. Be’, no. O meglio, non solo. In questo concerto ci sono tre solisti: e quello che si fa sentire più spesso è un violoncello. Nobilissimo strumento, ma non il primo che venga in mente. Il violino è protagonista; anche il contrabbasso lo è (pensate a Charlie Mingus); ma il violoncello sta un po’ nella zona grigia, fa bei sottofondi, sta in secondo piano. E nel concerto che ho in mente io, a far da comprimari al cello, troviamo un martellante pianoforte, tra il jazzistico e il rock’n’roll alla Jerry Lee Lewis; e un violino dal canto sublime e svettante. Come farà il violoncello a farsi apprezzare?
Fuor di metafora, ecco come funziona il nuovo romanzo di Enrico Brizzi, cantore infaticabile di Bologna, del calcio, della musica rock (e dintorni), e soprattutto dell’adolescenza. C’è il violoncello, cioè Tommaso Bandiera detto Tommy detto Quinlan: il tipo del gregario a vita, non un pianoforte, non un violino. Poi c’è il pianoforte: il suo peggior amico, Germano Raul, che – fin dai tempi delle scuole medie – viene ogni tanto a scombussolargli l’esistenza e a farlo finire in situazioni del tutto impreviste, come impasticcarsi a un rave party o commettere un atto di bullismo (peggio che peggio omofobico). La storia la racconta Tommy in prima persona; e quel che sappiamo di Germano è quel che sa il gregario, che per lunghi tratti del romanzo lo perde di vista, salvo poi vederselo ripiombare addosso nei momenti più inaspettati; Germano è una sorta di cometa che torna periodicamente portando sconquassi, ma anche facendo uscire l’abitudinario violoncello dalle sue solite frasi musicali (e non).
Infine abbiamo Ester. Bellissima (con tratti addirittura polinesiani) e intelligentissima e spregiudicatissima; il violino, indubbiamente, che con la sua voce (e tutto il resto), ammalia Tommy. Anche lei va e viene, ogni tanto appare e ogni tanto scompare. Inutile dire che è il grande amore di Tommy; e non rovinerò troppo la vostra lettura dicendovi che tra i suoi vari amanti l’esotica Ester avrà Germano, che a differenza di Tommy ha carisma da vendere.
La storia comincia nei primi anni Ottanta e arriva più o meno al 1994; guarda caso, l’anno in cui Brizzi si è fatto conoscere con Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il suo fortunatissimo romanzo d’esordio che gli ha impresso il marchio di scrittore teenager per i teenager. Tommy, ci viene detto, è nato nel 1974, lo stesso anno del suo autore; viene dunque la tentazione di leggere la storia in chiave autobiografica. Ma Tommaso non ha grandi aspirazioni letterarie: a lui basta il traffico di hashish e canapa orchestrato col socio Cotenna, le partitelle con la sua squadretta calcistica dove gioca in porta (salvo poi scoprire d’essere troppo basso per poter diventare un gran portiere), infine le domeniche trascorse nelle frange più violente degli hooligan rossi e blu (i Veltri, come vengono chiamati antiquariamente nel romanzo). Aggiungeteci qualche storia di sesso più o meno soddisfacente, con le quali il nostro si consola non potendo raggiungere la sublime Ester, e avrete un po’ il quadro.
Per completarlo, dobbiamo aggiungere l’orchestra, senza la quale i tre solisti dovrebbero darsi alla musica da camera, e non ci sarebbe ragione di srotolare questa vicenda di amicizie e amori e passioni adolescenziali per oltre cinquecento pagine. L’orchestra è la Bologna tra gli anni Ottanta e i Novanta: sono tutti i compagni di scuola, di squadretta calcistica, di consumo di droghe, di concerti e discoteche, di tifoseria ultrà, del Bandiera Tommaso. Tutta l’umanità felsinea con cui ha che fare a casa, e anche quella che incontra quand’è in trasferta durante le vacanze, sia sulla Riviera romagnola che sui monti dell’Appennino. E ogni tanto qualcuno degli orchestrali (un oboe, un trombone, una viola…) ha il suo momento di gloria o d’infamia, può duettare con i solisti, nei momenti felici o infelici del loro trio.
Un trio, ci terrei ad aggiungere, che grazie alla magia del romanzo è soggetto a una curiosa inversione: nel mondo proiettato dalle pagine di Brizzi a spiccare sono senz’altro il corsaro Raul e l’affascinante Ester principessa polinesiana, maschio e femmina alfa senza incertezze. Però per noi lettori in primo piano c’è il comprimario a vita, perché la narrazione è saldamente in pugno a Tommy, ed è la sua voce che evoca gli altri due (e qui il mio parallelo musicale fa un po’ acqua; ogni arte ha le sue specificità).
Un dettaglio lo trovo molto interessante e alquanto inquietante. Ester ha un nomignolo che usa sempre per chiamare Tommaso: Quinlan. Dice che è un nome da cowboy. Ebbene, o lo prende il giro, o questa ragazza peraltro assai intelligente è carente in storia del cinema: Quinlan è il protagonista di uno straclassico del noir, L’infernale Quinlan (1958) dell’immenso Orson Welles. Per cui al gregario Tommy è appiccicato il nome di uno dei più subdoli e inquietanti cattivi nella storia del giallo cinematografico, uno sceriffo corrotto, pronto a manipolare testimoni, alterare le prove e accoppare qualcuno per far tornare i conti delle proprie indagini. E come si chiama quel film in originale? Touch of evil. Il tocco del male, che in qualche modo si è posato su tutti e tre i protagonisti: chi ha perso il padre da piccolo, come Tommy, chi è figlio illegittimo di un riccone che detesta, come Raul, chi di una madre che una famiglia in senso classico non l’ha mai costruita, come Ester, e per questa è diventata una paria nella provinciale Bologna. Ma allora, ci possiamo fidare, noi lettori, della narrazione di Tommy/Quinlan?
Concludendo, una cosa va detta: che queste cinquecento e passa pagine volano. Brizzi si riconferma narratore talentuoso e sicuro di sé, che sa sempre giocare i suoi temi favoriti (calcio, Bologna, bicicletta, ancora Bologna, episteme borghesuccia, sempre Bologna, adolescenza e annesse trappole, ecc.) in modo ammirevole. Anche se questo tomo non lo ritengo all’altezza della Trilogia Fantastorica Italiana (di cui è fortunatamente imminente la ristampa), resta comunque un gran bel tour de force narrativo e – come direbbero gli americani – un page-turner. E poi, scusate, ma un romanzo che illumina tutti gli angoli bui della stagione che va dai 13 ai 19 anni – droghe bullismo alcol teppismo maschilismo noia vergogna, in una parola la stronzaggine di quell’età – senza far prediche e senza versare troppa melassa nell’impasto, oggi come oggi, quando l’adolescente è praticamente un fenomeno medico-psichiatrico, non mi pare cosa da poco. Anzi.