Triste Europa

David Szalay, Tutto quello che è un uomo, tr. Anna Rusconi, Adelphi, pp. 402, €22,00 stampa €10,99 eBook

In Europa si aggirano esseri umani depressi. Anche in compagnia di pensieri alquanto selvaggi, quel che accade è avvolto in un’ottusa nube temporale. Mangiano cibi orribili, neppure guardano pazze sistematiche dai sederi carrieristici, l’arrivo e la partenza di denaro li lascia indifferenti. E soprattutto nessuno è capace di guidare le vicende verso un qualsiasi esito. Sembra che persino la tragedia non alteri la loro struttura fisica. Che potrebbe risultare simbolica, ma non lo è. Viaggiano in una Europa priva di confini tradizionali, ma sempre lontani dalle loro origini.

Che siano porcherie di alberghi fatiscenti, languori stupidi verso prostitute decostruite in parti anatomiche di qualità, innamoramenti quasi iniziatici verso madri e figlie di grossa mole, che siano finali depressioni biologiche senza speranza di rewind in zone adriatiche e nebbiose, l’autore racchiude tutta la sua tenebrosa visione avendo come teatro un continente avviato allo sfacelo. Un formicaio in disuso i cui abitanti abbandonano per sempre le fantasie elleniche in favore di una strutturata tristezza di dubbia genesi. Nove storie per nove uomini di varia età ma che alludono a un solo esemplare in epoche di vita differenti, alle prese con quello che è stato e quello che potrebbe essere. Messi a mollo da Szalay, con una certa benevolenza, in un fluido che rinchiude ogni evento dentro i limiti dello “sgradevole”.

Benevolenza, poiché ogni descrizione non proclama niente di più che una semplice macchina da presa a mano che segue registra e consegna senza movimenti bruschi: uno slow motion privo di brutalismi filmici. E dunque Tutto quello che è un uomo appare come una collezione di terraglie ormai in disuso, come una colonia il cui impero avanza verso la fine, con un lunghissimo declino anche fisico. I corpi sentono un aldilà prossimo e poco interessante mentre vagano dentro serie di cerchi e gironi acconciati come un universo in fase di smantellamento. Si direbbero zombi per niente cool, questi personaggi maschili incapaci di riprendersi ciò che la parte femminile dell’Europa potrebbe ancora riservar loro. Szalay li accosta seguendo i pensieri che fuoriescono da una specie di ottundimento, una flemma che dimentica i fatti reali e quanto dovrebbe servire a una reazione.

Qui anche la malinconia mostra l’unica periferica istanza di un luogo che avanza verso il freddo termico. Sarà davvero così l’attuale struttura mentale dell’Europa, o l’invenzione di un bric-à-brac popolare recepito da un turista scoraggiato dal tramonto di antichi sapori? Qui non si tratta di “tristezza tropicale”, e la temperatura è alquanto mutevole lungo le latitudini europee anche se tutto il continente ormai ha la forma di un’espressionista favela “della mente”.

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