L’uomo invisibile resta ancora una delle figure più saldamente ancorate nell’immaginario fantastico. A dimostrarlo, una notevole longevità che, dalla formulazione originaria di H.G. Wells del 1897, arriva fino all’ultimo film di Leigh Whannell del 2020, passando per John Carpenter, Paul Verhoeven, e il Translucent della serie tratta da The Boys di Garth Ennis e Darick Robertson.
I motivi per un successo così duraturo sono abbastanza evidenti. Chi non ha desiderato almeno una volta nella vita di essere invisibile? E i motivi, bisogna ammetterlo, non sono mai particolarmente edificanti. L’idea di non poter essere visti scatena (comprensibilmente) alcuni degli istinti umani peggiori, e tra voyeurismo, rapine e crimini vari, difficilmente c’è qualcuno a questo mondo che non sfrutterebbe il dono (o la condanna?) dell’invisibilità per compiere qualche azione quantomeno discutibile. E in effetti già Wells aveva incorporato nel suo uomo invisibile una certa tendenza al male e alla follia, poi ampiamente sviluppata da praticamente chiunque si sia cimentato con questa figura.
Indubbiamente, l’invisibilità abbisogna di un adeguato supporto psicologico. E infatti l’uomo invisibile che Chuck Klosterman porta sulla pagina decide di rompere gli indugi, e dà il via a una serie di sedute, minuziosamente documentate, con una professionista, la psicologa Victoria Vick. Y___ è uno scienziato che, quando indossa una sofisticata quanto scomoda tuta, diventa pressoché impercettibile alla vista. È egocentrico e arrogante come molti altri degli uomini invisibili della storia del cinema e della letteratura, ma la volontà di andare in analisi tradisce un’insicurezza sostanziale, a malapena nascosta dall’esibizione continua del proprio ego di cui fa sfoggio. E infatti, come suggerisce il titolo e nonostante il narcisismo esasperato, Y___ è solo in cerca di conferme, di visibilità. O meglio, di un umano riconoscimento che, perso nelle sue ricerche sul vedere e il non vedere, sembra ormai mancargli del tutto.
Il verboso coprotagonista del romanzo di Klosterman si dedica ossessivamente a una vita di solitudine, spiando individui comuni che conducono esistenze comuni. Studioso platealmente distaccato ma in realtà attratto in maniera morbosa dalle infinite sfaccettature del sopravvivere quotidiano incarnate dai vari soggetti ai quali si dedica, Y___ riesce a malapena a nascondere il desiderio divorante di capirsi, più che di capire. Attraverso la critica feroce ma tutto sommato disonesta del protagonista e il traballante distacco professionale di Victoria, lo scrittore pone al lettore una domanda che, nell’abbondanza di strutture con le quali l’identità contemporanea cerca di identificarsi dopo il crollo necessario della dimensione essenzialista, è tanto semplice quanto capace di scatenare una crisi esistenziale come quella in cui è sprofondato il suo uomo (in)visibile. Chi siamo, senza lo sguardo dell’altro? Possiamo davvero dire di esistere se le nostre esistenze non sono fatte oggetto di testimonianza?
Cinico, divertente, e spesso anche necessariamente sgradevole, L’uomo visibile nasconde la risposta nelle contorsioni psicologiche dei propri personaggi tormentati, rivelando forse più cose su di noi di quante riusciamo ad ammettere senza sentirci a disagio.