Con l’abituale gusto impeccabile e raffinato di grafica e impaginazione Cliquot manda in stampa due volumi molto diversi, accomunati solo dal fatto di essere – ognuno a suo modo – due piccoli classici. Il primo è un romanzo illustrato di Roland Topor (1938-1997). Geniale disegnatore, artista visuale e letterato francese di origine ebraico-polacca, fondatore con Fernando Arrabal e Alejandro Jodorowsky del movimento neo-surrealista Panico; autore cinematografico del capolavoro fantascientifico d’animazione Il pianeta selvaggio (1972, realizzato in coppia con il regista francese René Laloux) e dell’insolito Marquis (1982), sorta di Muppet Show pornografico incentrato sulla figura del Marchese de Sade in perpetuo dialogo con il suo enorme pene parlante; collaboratore di Fellini per le scenografie di Casanova e La città delle donne; attore nel Nosferatu (1979) di Werner Herzog – un indimenticabile Renfield – e nel Ratataplan (1979) di Maurizio Nichetti. Un personaggio assolutamente poliedrico che sarebbe assai limitativo ridurre alla sola attività per cui è oggi più ricordato: quella di grafico ed illustratore.
La pricipessa Angina è il suo secondo romanzo, pubblicato nel 1967, dopo il successo del primo, Le Locataire chimérique, del 1964, da cui Roman Polansky avrebbe tratto nel 1976 il suo macabro capolavoro L’inquilino del terzo piano. Se L’inquilino è un romanzo horror sui generis, Angina è invece una fiaba surrealista che deve molto a Lewis Carroll e ad Alfred Jarry e un po’ anche a Raymond Queneau, e in cui non mancano, come anticipa Carlo Mazza Galanti nell’introduzione “elementi neri, macabri, horror o addirittura splatter nella cornice di quella che potrebbe altrimenti essere considerata una storia per l’infanzia”. Scritto durante un periodo di convalescenza, il racconto confonde e amalgama il nome della protagonista con quello della malattia che affliggeva in quel momento lo scrittore: ennesimo gioco surrealista di humour noir. Una citazione, forse apocrifa perché mancano le fonti, che riprendo da un articolo trovato su internet, offre la misura della dialettica reale/fantastico in cui l’artista si è sempre dibattuto con esiti divertenti e divertiti ma, nel profondo, amari e tragici: “Per guadagnare da vivere io non dispongo che dei prodotti derivati dalla mia paura… La realtà in sé è orribile, mi dà l’asma. La realtà è insopportabile senza gioco, il gioco consente una immagine della realtà. Io non posso perdere il contatto con la realtà, ma per sopportarla ho bisogno di questo gioco astratto che mi permette di trovare quello che può essere ancora umano”. La principessa Angina era stato pubblicato nel lontano 1969 dalla Milano Libri – editrice allora all’avanguardia che portò in Italia i Peanuts di Schulz, fondò la rivista Linus, e pubblicò oltre a Topor e Arrabal anche Copi, Crepax, Feiffer e tanti altri –, ora finalmente Cliquot restituisce il volume a nuova vita in una nuova traduzione e con il suo corredo completo di immagini.
Tutt’altra atmosfera si respira nel volume Istituto di bella morte di David Ely, autore statunitense a metà strada fra noir e fantascienza animato da una profonda verve politica e sociologica che pur non essendo assurto a particolare fama ha scritto pagine importanti. Istituto di bella morte, in originale Seconds, uscito nel 1963, venne pubblicato in italiano in una diversa traduzione alla fine del decennio nei Pocket Longanesi e nel 1966 fu adattato per il cinema nell’ottimo film omonimo (ma da noi reintitolato meno felicemente Operazione diabolica), diretto da John Frankenheimer e con protagonista Rock Hudson, che ottenne la nomination a Cannes per la Palma d’oro. La storia, torbida e cupa, è un geniale cross-over tra noir, fantascienza e horror e, come spiega Vanni Santoni nella prefazione al volume, ha a che fare con “una misteriosa organizzazione che crea ‘nuove vite’ per i suoi clienti, compreso un restyling integrale tramite chirurgia plastica e morti fasulle per togliere di mezzo le loro identità precedenti”. I personaggi vivranno un incubo che è una sorta di Fu Mattia Pascal in chiave thriller. Il testo, come tutti quelli di Ely – ad esempio The Tour del 1967; Time Out del 1968 o A Journal of the Flood Year del 1992 – ha forti connotazioni metaforiche di ordine esistenziale e politico e non è un caso che lo psicanalista e filosofo marxista Slavoj Žižek discuta abbondantemente del film tratto dal romanzo nel suo famoso saggio documentaristico The Pervert’s Guide to Ideology, in cui la storia diventa l’esemplificazione simbolica di ciò che avviene quando i desideri vengono esauditi. Oltre a essere una lettura avvincente e, sotto molti aspetti, terrorizzante, il libro offre occasioni di riflessione tutt’altro che banali. Non si può che essere riconoscenti a Cliquot per aver rimesso in circolazione due testi ingiustamente dimenticati che invece meritano entrambi tutta la nostra attenzione.