È un romanzo costruito ad arte, quello che Tony Laudadio ci offre in Elaborate forme di solitudine. Vi entriamo in punta di piedi, come spaesati dalla concatenazione di piccoli passi e dalla loro lungimiranza nel diventare delle lunghe camminate sotto il sole primaverile di una Caserta onirica. Un risveglio dei sensi. Laudadio, attore e scrittore italiano, scrive una storia fatta di tante storie – dove il ritmo è cadenzato dal ritornello dei pensieri di Andrea. È lui che apre le danze di ogni capitolo, preludio inconsapevole del labirinto sorprendente di incontri che si svolgono mentre lui è un osservatore impassibile del mondo da dentro un coma. Andrea è al centro di questo labirinto e molte sono le entrate ed uscite in un gioco dove le regole sembrano sospese, scombussolate, messe in discussione. La madre di Andrea, Luana, vive nello stesso palazzo dove si trova l’ufficio di architettura di Gipo, trentenne autodefinito come un osservatore imparziale della sua vita – e di quella degli altri. A Gipo piace osservare la quotidianità dietro finestre altrui: così conosce da lontano Alessia, osservandola, almeno finché non le viene presentata dall’amico Luca e dalla fidanzata Gabriella. C’è poi Clemente, un settantenne che parla con la moglie anche se lei non c’è più, faticando a dare un senso alle fatiche quotidiane. È la cosiddetta calma prima del vortice, quella che si percepisce all’inizio di un racconto che si intensifica fino alla rottura di argini maldestramente costruiti.
Il grado di empatia e immedesimazione con il guazzabuglio emotivo degli individui umani che incontriamo è notevolmente accresciuto dalla normalità di ciò che provano. Nulla di alieno, nulla che non si sperimenti mai nel corso della quotidianità sfiancante di eventi totalmente contemporanei e comuni. Laudadio mette assieme queste piccole fatiche quotidiane e questi piccoli sforzi da affrontare giorno per giorno, costruendo una catena assai variopinta di contaminazioni vitali delle sfere personali altrui. Ogni personaggio entra nella vita dell’altro per casualità, per necessità, per spaesamento verso sé stesso – e ognuno si ritrova legato all’altro, in un puzzle imperfetto come è la realtà che viviamo. L’accento è sulle relazioni umane, sul loro potere salvifico e in grado di cambiarci, di aprirci gli occhi, di farci crescere. La quotidianità viene colorata dalla primavera di nuovi incontri che svecchiano modi di pensare e agire obsoleti.
Proprio in questa primavera inebriante, in un mondo che si risveglia da un lungo letargo invernale, Laudadio scrive che la città si godeva “l’illusoria prospettiva di un mondo senza dolore”. Come lo è nella vita vera, il dolore è un sentimento che permane nell’intera storia, intensificandosi per poi portare allo sbocciare di fiori in terre dapprima aride. Dolore per un tradimento, per una perdita, per la verità, per eredità famigliari color cremisi, per allontanamenti non voluti – vivere come spettatori degli eventi senza esserne artefici, come una barriera al dolore, ma percepire la forza di abbatterla per l’incontro con l’altro. Assume diversi contorni, il dolore, ma in ultima istanza ci porta a una riconciliazione a lungo attesa con il mondo che sa essere anche buono.